un'isola, i palazzi, le torri
le mie passeggiate
un'isola, i palazzi, le torri
con Santina, Piera e Sandro, Maria Grazia e Bruno, Annalucia e Pio, Maria e Carlo, Roberta, Massimo, Angela, Domenica, Nella e Pilade, Teresa e Massimo, Marilena e Riccardo, Anna e Paolo, Filomena e Raffaele, Maurizio
15 febbraio 2009
Questa passeggiata attraversa tre rioni, naturalmente solo in parte, Campitelli, S. Angelo e Ripa, secondo un percorso che partendo dalle pendici del Campidoglio, percorre una Roma medievale, con palazzi e torri che hanno visto le lotte tra le famiglie baronali per il predominio nella città, giunge fino all'Isola Tiberina per risalire ai limiti del ghetto e tornare, attraverso l'area di Tor Margana, a piazza di Aracoeli.
piazza di Aracoeli
La passeggiata inizia da piazza di Aracoeli: questa piazza ci appare oggi priva del carattere raccolto che possedeva un tempo. Mancante di un lato a causa delle demolizioni compiute prima per la costruzione del Monumento a Vittorio Emanuele II, iniziata nel 1885, e poi, negli anni trenta del secolo scorso, per l’isolamento dell’area del Campidoglio, la piazza fu in passato Piazza del Mercato.
Le demolizioni di cui è stata oggetto la piazza d’Aracoeli, se da un lato hanno sostanzialmente mutato la scenografia che Michelangelo aveva utilizzato per la sistemazione del Campidoglio, hanno nel contempo aperto una visuale suggestiva su uno scenario d’eccezione. Da qui si possono ammirare con un unico colpo d’occhio il Campidoglio, il Foro di Traiano con la sua colonna e la retrostante Torre delle Milizie, le due chiese di Santa Maria di Loreto e del Santissimo Nome di Maria e Palazzo Venezia. La fontana di Sisto V, eseguita nel 1589 da Andrea Brasca, Pietreo Gucci e Pace Naldini su disegno di Giacomo Della Porta, sorgeva un tempo su due gradini che ripetevano le linee della vasca inferiore e aveva intorno un canaletto per la raccolta dell’acqua che fuoriusciva. Nel corso di un restauro ottocentesco i gradini furono tolti e sostituiti da piccole colonne. Composta di due vasche di forme diverse, la seconda, più piccola, sorregge un gruppo di putti che versano acqua da altrettante anfore che reggono in mano.
Al civico 3 si trova Palazzo Fani, oggi Pecci-Blunt, opera del rinnovamento di Giacomo della Porta nella seconda metà del cinquecento. Distribuito su tre piani, è ornato da un fregio a motivi floreali che corre sotto il cornicione. Alla fine del cinquecento il palazzo fu affittato a prelati (nel 1601 vi abitò il cardinale Federico Borromeo). Nella prima metà del XVII secolo il palazzo venne acquistato dagli Spada e venduto poi ai Ruspoli; poi, agli inizi del XVIII secolo il palazzo passò alla famiglia Malatesta e, infine, ai conti Pecci Blunt, attuali proprietari.
Palazzo Massimo di Rignano, poi Colonna è invece al civico 1; opera di Carlo Fontana con un portale a motivi vegetali, presenta quattro piani, un attico moderno e una torretta-osservatorio merlata. L’angolo sinistro del palazzo venne tagliato nel 1939 in seguito all'apertura dell’attuale via del Teatro di Marcello.
La Cordonata è la scalinata ideata da Michelangelo che conduce a piazza del Campidoglio. Nel 1578 vennero apportate delle modifiche da Giacomo della Porta. In basso, alla base della scalinata, sono posti due leoni egizi in basalto nero di Numidia. Nel 1587, quando l'Acqua Felice venne portata sul colle capitolino, rimasto privo di acqua corrente dopo la interruzione dell'acquedotto Marcio, i due leoni vennero modificati e adattati a fontane. In almeno due occasioni, per l'elezione di papa Innocenzo X Pamphili (1644-1655) e di papa Clemente X Altieri (1670-1676) dalle cannelle di queste fontane anziché acqua venne fatto sgorgare vino bianco e vino rosso. In cima alla monumentale scalea, sulla balaustra, sono posti i Dioscuri e si apre piazza del Campidoglio.
Le demolizioni di cui è stata oggetto la piazza d’Aracoeli, se da un lato hanno sostanzialmente mutato la scenografia che Michelangelo aveva utilizzato per la sistemazione del Campidoglio, hanno nel contempo aperto una visuale suggestiva su uno scenario d’eccezione. Da qui si possono ammirare con un unico colpo d’occhio il Campidoglio, il Foro di Traiano con la sua colonna e la retrostante Torre delle Milizie, le due chiese di Santa Maria di Loreto e del Santissimo Nome di Maria e Palazzo Venezia. La fontana di Sisto V, eseguita nel 1589 da Andrea Brasca, Pietreo Gucci e Pace Naldini su disegno di Giacomo Della Porta, sorgeva un tempo su due gradini che ripetevano le linee della vasca inferiore e aveva intorno un canaletto per la raccolta dell’acqua che fuoriusciva. Nel corso di un restauro ottocentesco i gradini furono tolti e sostituiti da piccole colonne. Composta di due vasche di forme diverse, la seconda, più piccola, sorregge un gruppo di putti che versano acqua da altrettante anfore che reggono in mano.
Al civico 3 si trova Palazzo Fani, oggi Pecci-Blunt, opera del rinnovamento di Giacomo della Porta nella seconda metà del cinquecento. Distribuito su tre piani, è ornato da un fregio a motivi floreali che corre sotto il cornicione. Alla fine del cinquecento il palazzo fu affittato a prelati (nel 1601 vi abitò il cardinale Federico Borromeo). Nella prima metà del XVII secolo il palazzo venne acquistato dagli Spada e venduto poi ai Ruspoli; poi, agli inizi del XVIII secolo il palazzo passò alla famiglia Malatesta e, infine, ai conti Pecci Blunt, attuali proprietari.
Palazzo Massimo di Rignano, poi Colonna è invece al civico 1; opera di Carlo Fontana con un portale a motivi vegetali, presenta quattro piani, un attico moderno e una torretta-osservatorio merlata. L’angolo sinistro del palazzo venne tagliato nel 1939 in seguito all'apertura dell’attuale via del Teatro di Marcello.
La Cordonata è la scalinata ideata da Michelangelo che conduce a piazza del Campidoglio. Nel 1578 vennero apportate delle modifiche da Giacomo della Porta. In basso, alla base della scalinata, sono posti due leoni egizi in basalto nero di Numidia. Nel 1587, quando l'Acqua Felice venne portata sul colle capitolino, rimasto privo di acqua corrente dopo la interruzione dell'acquedotto Marcio, i due leoni vennero modificati e adattati a fontane. In almeno due occasioni, per l'elezione di papa Innocenzo X Pamphili (1644-1655) e di papa Clemente X Altieri (1670-1676) dalle cannelle di queste fontane anziché acqua venne fatto sgorgare vino bianco e vino rosso. In cima alla monumentale scalea, sulla balaustra, sono posti i Dioscuri e si apre piazza del Campidoglio.
piazza del Campidoglio
A guardia della scalinata michelangiolesca che sale a piazza del Campidoglio sono poste le statue dei Dioscuri, Castore e Polluce; questo colle rappresenta, sin dai primi insediamenti dell'età romana, uno dei luoghi più significativi della storia dell'Impero, dal punto di vista sociale, politico e religioso. Strategica roccaforte, per la sua posizione sopraelevata sul Tevere dominante sulla città, divenne sede di importanti uffici pubblici. Dopo la caduta dell’impero, fu progressivamente abbandonato e nel medioevo divenne un pascolo, prendendo il nome di Monte Caprino. Poi, dal XII secolo nel Campidoglio si concentrarono le attività commerciali e divenne sede del governo della capitale, riunendo sul posto le magistrature cittadine più importanti, insieme alle corporazioni delle arti e dei mestieri, finchè nel XVI secolo fu affidato a Michelangelo il compito di riprogettare l'area. Piazza del Campidoglio rappresenta il primo esempio di piazza monumentale della Roma moderna e la Statua equestre di Marco Aurelio è senz'altro il cuore dell'intero complesso. La statua rimase fino al 1981 sul piedistallo originale, poi dopo il restauro del 1990, è stato sostituita da una copia, mentre l'originale è custodito nel Museo Capitolino, all'interno di Palazzo Nuovo. Nel 1563 Michelangelo cominciò la ricostruzione di Palazzo dei Conservatori, sede della Magistratura elettiva di Roma, mentre Guidetto Guidetti e Giacomo della Porta lavorarono fino al 1568 alla risistemazione dell'edificio, dalla facciata, alla scala, fino al portico sul cortile, proseguendo l'opera iniziata dal maestro. Nel 1619 fu inserita una fontana, successivamente (1665-1667) una campana voluta da Alessandro VII e infine nel 1720 Alessandro Specchi realizzò un altro portico.
Nel cortile interno si trovano resti di archi gotici e nel lato destro è posta la famosa Testa di Costantino e di altre parti della statua, alta dodici metri ed originariamente collocata nell'abside della basilica di Massenzio. Il Palazzo Senatorio venne edificato sui resti del Tabularium, l'archivio di Stato di Roma antica del I secolo a.C., dove si conservavano leggi e testi ufficiali, incise sulle Tabulae bronzee, e nel quale si riunivano i magistrati. Nel 1299 fu restaurato e fino al XVI secolo l'edificio mantenne le sembianze della fortezza medievale, di cui Michelangelo conservò le mura, ideandone una nuova facciata, realizzata tra 1582 e 1605 da Giacomo della Porta e Girolamo Rainaldi, che riadattarono i disegni dell'artista, preservando soltanto la scala esterna a due rampe convergenti (1547-1554). La Statua di Minerva Seduta, posta nella nicchia, è affiancata dalle statue distese del Tevere e del Nilo realizzate per le terme di Costantino e spostate in Campidoglio dal 1518. La Torre Municipale fu eretta tra il 1578 ed il 1582 da Mariano Longhi il Vecchio, che sostituì la preesistente, di epoca medievale. Nel Palazzo Senatorio ancora oggi si riunisce il Consiglio Comunale di Roma, nel salone maggiore dell'edificio, l'Aula Consiliare, dove si trova una statua di Giulio Cesare. L'altro palazzo della piazza capitolina fu denominato "Palazzo Nuovo" perché edificato più tardi rispetto al Palazzo Senatorio e al Palazzo dei Conservatori. Inserito fin dall'inizio nel generale progetto di Michelangelo, fu costruito da Girolamo e Carlo Rainaldi nel 1655 e completato in più fasi, nell'arco di quasi due secoli. Il palazzo è noto anche come Museo Capitolino anche se in realtà sia Palazzo Nuovo che quello dei Conservatori, ospitano il complesso museale.
Nel cortile interno si trovano resti di archi gotici e nel lato destro è posta la famosa Testa di Costantino e di altre parti della statua, alta dodici metri ed originariamente collocata nell'abside della basilica di Massenzio. Il Palazzo Senatorio venne edificato sui resti del Tabularium, l'archivio di Stato di Roma antica del I secolo a.C., dove si conservavano leggi e testi ufficiali, incise sulle Tabulae bronzee, e nel quale si riunivano i magistrati. Nel 1299 fu restaurato e fino al XVI secolo l'edificio mantenne le sembianze della fortezza medievale, di cui Michelangelo conservò le mura, ideandone una nuova facciata, realizzata tra 1582 e 1605 da Giacomo della Porta e Girolamo Rainaldi, che riadattarono i disegni dell'artista, preservando soltanto la scala esterna a due rampe convergenti (1547-1554). La Statua di Minerva Seduta, posta nella nicchia, è affiancata dalle statue distese del Tevere e del Nilo realizzate per le terme di Costantino e spostate in Campidoglio dal 1518. La Torre Municipale fu eretta tra il 1578 ed il 1582 da Mariano Longhi il Vecchio, che sostituì la preesistente, di epoca medievale. Nel Palazzo Senatorio ancora oggi si riunisce il Consiglio Comunale di Roma, nel salone maggiore dell'edificio, l'Aula Consiliare, dove si trova una statua di Giulio Cesare. L'altro palazzo della piazza capitolina fu denominato "Palazzo Nuovo" perché edificato più tardi rispetto al Palazzo Senatorio e al Palazzo dei Conservatori. Inserito fin dall'inizio nel generale progetto di Michelangelo, fu costruito da Girolamo e Carlo Rainaldi nel 1655 e completato in più fasi, nell'arco di quasi due secoli. Il palazzo è noto anche come Museo Capitolino anche se in realtà sia Palazzo Nuovo che quello dei Conservatori, ospitano il complesso museale.
piazzale Caffarelli
Percorrendo via Caffarelli si giunge a piazzale Caffarelli dominato da palazzo Caffarelli. La costruzione, iniziata da Ascanio Caffarelli nel 1538 sulle proprietà della famiglia nelle immediate adiacenze del Palazzo dei Conservatori, fu completata dopo il 1680. Si affacciava sul Cortile del Palazzo dei Conservatori ed includeva al suo interno due giardini (il Giardino Caffarelli e quello poi denominato Giardino Romano); il grande portale su Via delle Tre Pile costituiva l'ingresso monumentale alla proprietà. Il palazzo ha subito nel corso dei secoli molte trasformazioni, che ne hanno alterato la conformazione originaria. Alcune parti superstiti delle volte affrescate sono conservate nel Museo di Roma. Dall'inizio dell'Ottocento alla fine della prima guerra mondiale l'edificio fu occupato dall'ambasciata di Prussia. Nel 1918 fu recuperato dal Comune di Roma e parzialmente demolito: al posto dei piani alti dell'ala orientale fu ricavata una grande terrazza (Terrazza Caffarelli), mentre al piano terreno, in parte smantellato per gli scavi del tempio di Giove Capitolino, fu allestito un nuovo settore museale (Museo Mussolini, poi Museo Nuovo). Dalla terrazza antistante si gode di uno dei panorami più belli di Roma.
via del Teatro Marcello
Scendendo dalla rampa Caffarelli e per via di Monte Caprino si arriva a via del Teatro Marcello che prende il nome dall’omonimo monumento, ma prima del 1870 si chiamava Catena di Pescheria e prima ancora contrada della Pescina, con chiari riferimenti alla pescheria del Portico d’Ottavia.
La Torre dei Pierleoni è un complesso medioevale costituito dalla torre e dalla casa adiacente. Risale al XII secolo e viene tradizionalmente attribuito ai Pierleoni, probabilmente soltanto perchè la ricca famiglia aveva numerose proprietà, come la Casa dei Pierleoni, la torre sull'Isola Tiberina o le stesse fortificazioni sull'antistante Teatro di Marcello. Sulla facciata della torre vi è un’edicola mariana qui collocata nel 1964. La torre è il poco che rimane della struttura edilizia medioevale un tempo situata lungo l'attuale via del Teatro di Marcello, prima che con gli sventramenti attuati per realizzazione della via del Mare, fossero sacrificati tutti gli isolati di via di Tor de' Specchi, della scomparsa Piazza Montanara e di via della Bocca della Verità, prevedendo la salvaguardia solo di alcuni edifici, tra cui appunto la Torre. Nella ricostruzione furono utilizzati sia i resti della casa stessa ma anche di altri elementi, quali le finestre, provenienti da un edificio immediatamente adiacente che invece fu distrutto. La via è comunque dominata dal Teatro di Marcello. Precursore del Colosseo, era un edificio di divertimento voluto da Cesare ed ultimato nell'11 d.C. da Augusto, che lo dedicò al figlio di sua sorella Ottavia, Marcello appunto, morto prematuramente nel 23 a.C.. In epoca medioevale venne occupato da piccole costruzioni e si trasformò in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni e poi passato ai Faffo e quindi, dal XIII secolo, ai Savelli, che fecero edificare da Baldassarre Peruzzi il palazzo tuttora esistente sopra le arcate della facciata. Nel XVIII secolo ne divennero proprietari gli Orsini, fino a quando, tra il 1926 ed il 1932, l'originario edificio fu riportato alla luce e restaurato riproducendo fedelmente la struttura iniziale. Sulle rovine del vicino Foro Olitorio, il mercato dei legumi e delle verdure dell'antica Roma, e sui resti di tre templi, attribuiti rispettivamente a Giunone, Giano e Speranza, sorge la chiesa di S. Nicola in carcere. Risalente probabilmente al VII secolo, è dedicata a S. Nicola per il fatto che nell'area viveva la comunità greca, che venerava particolarmente questo santo. Ricevette il nome "in carcere" da una prigione lì presente, risalente all'epoca bizantina.
Ricostruita nel 1128 fu, nel corso dei secoli, restaurata più volte. La facciata risale al 1599, realizzata da Giacomo della Porta, che riutilizzò due colonne del Tempio di Giunone Sopita, mentre ai lati dell'edificio sono inserite le sei colonne del tempio di Giano e parte di quelle del Tempio della Speranza. L’interno presenta una pianta basilicale a tre navate divise da sette colonne per lato, con transetto non sporgente e abside fiancheggiata da cappelle. Nel 1808 la chiesa fu restaurata da Giuseppe Valadier.
La Torre dei Pierleoni è un complesso medioevale costituito dalla torre e dalla casa adiacente. Risale al XII secolo e viene tradizionalmente attribuito ai Pierleoni, probabilmente soltanto perchè la ricca famiglia aveva numerose proprietà, come la Casa dei Pierleoni, la torre sull'Isola Tiberina o le stesse fortificazioni sull'antistante Teatro di Marcello. Sulla facciata della torre vi è un’edicola mariana qui collocata nel 1964. La torre è il poco che rimane della struttura edilizia medioevale un tempo situata lungo l'attuale via del Teatro di Marcello, prima che con gli sventramenti attuati per realizzazione della via del Mare, fossero sacrificati tutti gli isolati di via di Tor de' Specchi, della scomparsa Piazza Montanara e di via della Bocca della Verità, prevedendo la salvaguardia solo di alcuni edifici, tra cui appunto la Torre. Nella ricostruzione furono utilizzati sia i resti della casa stessa ma anche di altri elementi, quali le finestre, provenienti da un edificio immediatamente adiacente che invece fu distrutto. La via è comunque dominata dal Teatro di Marcello. Precursore del Colosseo, era un edificio di divertimento voluto da Cesare ed ultimato nell'11 d.C. da Augusto, che lo dedicò al figlio di sua sorella Ottavia, Marcello appunto, morto prematuramente nel 23 a.C.. In epoca medioevale venne occupato da piccole costruzioni e si trasformò in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni e poi passato ai Faffo e quindi, dal XIII secolo, ai Savelli, che fecero edificare da Baldassarre Peruzzi il palazzo tuttora esistente sopra le arcate della facciata. Nel XVIII secolo ne divennero proprietari gli Orsini, fino a quando, tra il 1926 ed il 1932, l'originario edificio fu riportato alla luce e restaurato riproducendo fedelmente la struttura iniziale. Sulle rovine del vicino Foro Olitorio, il mercato dei legumi e delle verdure dell'antica Roma, e sui resti di tre templi, attribuiti rispettivamente a Giunone, Giano e Speranza, sorge la chiesa di S. Nicola in carcere. Risalente probabilmente al VII secolo, è dedicata a S. Nicola per il fatto che nell'area viveva la comunità greca, che venerava particolarmente questo santo. Ricevette il nome "in carcere" da una prigione lì presente, risalente all'epoca bizantina.
Ricostruita nel 1128 fu, nel corso dei secoli, restaurata più volte. La facciata risale al 1599, realizzata da Giacomo della Porta, che riutilizzò due colonne del Tempio di Giunone Sopita, mentre ai lati dell'edificio sono inserite le sei colonne del tempio di Giano e parte di quelle del Tempio della Speranza. L’interno presenta una pianta basilicale a tre navate divise da sette colonne per lato, con transetto non sporgente e abside fiancheggiata da cappelle. Nel 1808 la chiesa fu restaurata da Giuseppe Valadier.
ponte Palatino, ponte Rotto, ponte Cestio
Giungendo a lungotevere dei Pierleoni si attraversa ponte Palatino. Realizzato tra il 1886 e il 1890, fu detto Palatino dalla sua ubicazione in prossimità dello storico colle. Fu realizzato per sostituire il ponte Emilio, oggi chiamato ponte Rotto, ancora posizionato nella sue adiacenze. Ha due arcate in muratura, una larghezza di 18 metri ed una lunghezza di 155 metri: in merito a ciò, è il ponte più lungo di Roma. In prossimità della testata sinistra si trova lo sbocco della Cloaca Maxima. Da ponte Palatino si può ammirare ponte Rotto, ovvero l'antico "Pons Aemilius", il primo costruito in pietra, realizzato tra il 181 ed il 142 a.C. da Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore. Più volte ricostruito a causa dei crolli provocati dal Tevere, che in questo tratto del suo corso era particolarmente agitato. Nel 1575 per iniziativa di Papa Gregorio XIII fu ricostruito di nuovo, ma crollò ancora. Oggi rimane visibile una sola arcata, un rudere dove compare l'immagine di un drago, lo stemma del papa che volle riedificarlo.
Raggiunto lungotevere degli Alberteschi lo si percorre fino a ponte Cestio: Il ponte, nato per collegare l'isola al quartiere di Trastevere, fu costruito nel nel 46 a.C. dal console Lucio Sestio. Originariamente aveva una sola arcata centrale, ma intorno al 370 d.C . fu ricostruito interamente a tre arcate dagli imperatori Valente, Valentiniano e Graziano, come evidenzia l'iscrizione reinserita nella spalletta destra del ponte. Nel Quattrocento fu denominato anche ponte S. Bartolomeo, dalla chiesa che sorge sull'isola, mentre nel Seicento fu detto anche Ponte Ferrato, dalla gran quantità di catene di ferro dei molini presenti nel fiume. Durante la costruzione dei muraglioni si rese necessario aumentare la distanza tra l'isola e la riva con la conseguente demolizione dell'antica arcata principale, il cui materiale fu tuttavia riutilizzato nella ristrutturazione del ponte.
l'isola Tiberina
La sua forma grossolanamente simile a quella di un grande barcone, è legata, secondo una leggenda, all'affondamento di una nave, mentre secondo un'altra leggenda, la sua origine era dovuta all'accumularsi del fango sul grano dei Tarquini gettato nel fiume dal popolo dopo la loro cacciata. L'isola era sacra al culto di Esculapio, dio della medicina, a cui fu dedicato nel 289 a.C. un tempio in occasione di un'epidemia di peste. Il sito venne indicato, si narra, dal Dio stesso che, trasformatosi in serpente, saltò giù dalla nave trovando rifugio sull'isola, diventata poi una sorta di nave-ospedale, visto che annesso al tempio fu edificata una struttura utilizzata per l’assistenza agli ammalati. Nell'antichità il luogo fu indicato con diversi toponimi, a partire dal più antico "Isola Lycaonia", per la probabile esistenza di una statua antropomorfa sul ponte Cestio fino ad "Isola di San Bartolomeo" e "Isola dei due ponti", per la presenza rispettivamente della basilica di San Bartolomeo, del Ponte Cestio e del Ponte Fabricio. Con l'espansione di Roma, l'Isola Tiberina vide ben presto sostituire le varie strutture e l'intera area divenne centro dedicato alla medicina, come per altro è ancora oggi per la presenza dell'Ospedale Fatebenefratelli.
L'ospedale Fatebenefratelli risale al 1584, fondato dalla congregazione di S. Giovanni di Dio, la cui denominazione ricorda la frase che i religiosi ripetevano chiedendo l'elemosina, "fate bene fratelli" appunto. La vocazione dell'isola, di natura prevalentemente terapeutica, fu ribadita nel 1656, quando in occasione dell'ennesima epidemia di peste, che afflisse la popolazione capitolina, tutta l'area circostante l'ospedale fu trasformata in un lazzaretto e la struttura inglobò anche la chiesa di S. Giovanni Calibita. Su piazza S. Bartolomeo troviamo la chiesa di S. Bartolomeo all'isola, fatta edificare nel X secolo da Ottone II, sulle rovine del preesistente tempio di Esculapio, questa chiesa è collocata sulla piazza principale dell'isola. La facciata è di stampo barocco ed il campanile romanico, risalente al XII secolo, spicca ben visibile dalle rive del Tevere. Le numerose esondazioni del fiume hanno spesso compromesso questo luogo di culto, più volte rimaneggiato.
Sotto Pasquale II (1113) furono compiuti cospicui interventi, tra cui il campanile, ma i lavori proseguirono almeno sino al tempo di Alessandro III (1159-1181): a questa epoca dovrebbe risalire il mosaico di facciata. L'aspetto attuale si deve agli interventi del del 1583, del 1624 e del 1720-39. L'interno basilicale a tre navate si presenta nell'aspetto barocco. Le quattordici colonne di varia foggia appartengono anch'esse alla costruzione originaria: sono di spoglio e provengono forse dal Tempio di Esculapio. Al di sotto dell’altare maggiore è posta una vasca in porfido, in cui vengono conservate le spoglie di S. Bartolomeo, apostolo e martire, che dedicò la sua vita all'opera di evangelizzazione, nel corso della quale gli vennero attribuite numerose guarigioni.
Nella piazza antistante, il 24 agosto, veniva affisso su una colonna, sostituita nell´Ottocento dall’attuale monumento, l´elenco di coloro che non avevano ottemperato all´obbligo del precetto pasquale; la mancata osservanza dei precetti pasquali poteva poi esser punita molto severamente dalle autorità religiose: oltre alla scomunica, si applicava la pena dell' 'interdetto', ossia la proibizione di entrare in chiesa e, morendo, la privazione della sepoltura religiosa. Se scomunicati e interdetti volevano tornare in grazia di Dio, dovevano partecipare ad una funzione pubblica nel corso della quale erano frustati sulle spalle.
Nella piazza antistante, il 24 agosto, veniva affisso su una colonna, sostituita nell´Ottocento dall’attuale monumento, l´elenco di coloro che non avevano ottemperato all´obbligo del precetto pasquale; la mancata osservanza dei precetti pasquali poteva poi esser punita molto severamente dalle autorità religiose: oltre alla scomunica, si applicava la pena dell' 'interdetto', ossia la proibizione di entrare in chiesa e, morendo, la privazione della sepoltura religiosa. Se scomunicati e interdetti volevano tornare in grazia di Dio, dovevano partecipare ad una funzione pubblica nel corso della quale erano frustati sulle spalle.
Imboccando via Ponte dei Quattro Capi si si trova la chiesa di S. Giovanni Calibita, che, seppur ricordata nel XIV secolo col nome di Sancti Ioannis de insula, ed anche Sancti Ioannis Cantofiume, è invece di antichissime origini, in quanto sorta nell'area del tempio di Iuppiter Iurarius. La chiesa fu distrutta dai soldati di Genserico e riedificata nel 464 da Pietro, vescovo di Porto, sotto la cui giurisdizione era appunto l’isola Tiberina. La chiesa attuale fu costruita alla fine del XVI secolo sulle rovine di quella antica, di cui non resta più nulla: fu in questa occasione che sotto l'altare maggiore si scoprirono i resti del corpo di san Giovanni Calibita. La chiesa venne poi rinnovata nel 1640; la facciata ideata da Luigi Barattoli fu ultimata poi da Romano Catapecchia nel 1711. Il ricco apparato decorativo interno è di Corrado Giaquinto e fu completato nel 1742, mentre il campanile è attribuito al Bazzani. Lo spazio interno della chiesa si sviluppa in un'unica navata. Nella chiesa si conserva l'immagine della Madonna della lampada, risalente al XIII secolo: una tradizione popolare racconta che quest'immagine, un tempo posta in riva al fiume con una lampada votiva accesa, nel 1557 venne sommersa da una esondazione del fiume; malgrado ciò la lampada continuò ad ardere, suscitando così lo stupore del popolo e la pubblica devozione.
Prima di ponte Fabricio incontrano la torre e palazzo Pierleoni Caetani. La torre viene menzionata per la prima volta nel 1192 come proprietà dei Pierleoni che presumibilmente si insediarono nel Rione Ripa già nel secolo XI. La torre è quanto rimane di un complesso di edifici costruiti nell'arco di quattro secoli a ridosso del primo elemento architettonico che è appunto la torre eretta dai Pierleoni nel X secolo. Il palazzo fu residenza della famiglia Pierleoni fino al XII secolo, quando passò ai Caetani che ne fecero la loro residenza dopo averci costruito intorno diversi palazzetti ed aver inglobato nel complesso anche la chiesa di S. Bartolomeo. La famiglia risiedette qui fino al 1470, sottoponendo tutti gli edifici a frequenti restauri, ma il complesso era continuamente eroso dalle intemperie e dalle piene del Tevere. Nel 1638 quanto rimaneva del complesso fu rilevato dal cardinale Barberini che lo fece restaurare e lo destinò specificatamente all’assistenza ai malati. Dal 1656, in occasione di una terribile pestilenza, l’edificio iniziò ad essere chiamato “Lazzaretto brutto”.
Prima di ponte Fabricio incontrano la torre e palazzo Pierleoni Caetani. La torre viene menzionata per la prima volta nel 1192 come proprietà dei Pierleoni che presumibilmente si insediarono nel Rione Ripa già nel secolo XI. La torre è quanto rimane di un complesso di edifici costruiti nell'arco di quattro secoli a ridosso del primo elemento architettonico che è appunto la torre eretta dai Pierleoni nel X secolo. Il palazzo fu residenza della famiglia Pierleoni fino al XII secolo, quando passò ai Caetani che ne fecero la loro residenza dopo averci costruito intorno diversi palazzetti ed aver inglobato nel complesso anche la chiesa di S. Bartolomeo. La famiglia risiedette qui fino al 1470, sottoponendo tutti gli edifici a frequenti restauri, ma il complesso era continuamente eroso dalle intemperie e dalle piene del Tevere. Nel 1638 quanto rimaneva del complesso fu rilevato dal cardinale Barberini che lo fece restaurare e lo destinò specificatamente all’assistenza ai malati. Dal 1656, in occasione di una terribile pestilenza, l’edificio iniziò ad essere chiamato “Lazzaretto brutto”.
La torre è nota anche come "torre della pulzella", per la piccola testa marmorea raffigurante una giovinetta inserita nel paramento di mattoni. Ponte Fabricio collega l'Isola Tiberina alla sponda sinistra del Tevere, al rione Ripa e S. Angelo. È il ponte più antico di Roma e sostituì, probabilmente, uno preesistente in legno; l'attuale fu fatto edificare nel 62 a.C. dal console Lucio Fabricio, come ricordano le iscrizioni a grandi lettere incise sulle arcate. Il ponte ha mantenuto, nel corso di quasi duemila anni, la sua primitiva struttura. E' anche detto "ponte dei quattro capi" per le due erme, i mezzi busti su pilastro quadrifronti che ornano i parapetti, nonché "Pons Judaeorum",, perché qui passavano infatti gli ebrei per raggiungere il ghetto, nel quale erano confinati. Il nucleo è composto da blocchi di tufo e peperino; le due grandi arcate poggiano su un pilone centrale, nel quale si apre un piccolo arco, destinato a diminuire la pressione delle acque sulla struttura durante le piene.
Monte Savello
Alla fine del ponte ci si trova a lungotevere dei Cenci e nello slargo di piazza Monte Savello, dominato da palazzo Orsini. Monte Savello nacque dai ruderi della scena e della cavea, l'insieme delle gradinate che accoglievano gli spettatori, appartenenti al Teatro di Marcello. Su questo rilievo, nel periodo medievale, fu edificata una fortezza dalla famiglia Pierleoni, poi passata ai Savelli ed infine dal 1716 di proprietà degli Orsini, da cui deriva la denominazione odierna del palazzo. I simboli araldici della casata, gli orsi appunto, fiancheggiano l'ingresso che si apre su via di Monte Savello. In direzione del Tevere sorgono i corpi di fabbrica realizzati nell'ottocento, mentre la parte originaria fu edificata tra il 1523 ed il 1527 su progetto di Baldassarre Peruzzi, commissionata dalla famiglia Savelli che volle dare un nuovo ordine alla struttura preesistente.
Nel settecento l’edificio fu fatto trasformare dagli Orsini ed è costituito da tre corpi di fabbrica rettangolari disposti intorno ad un cortile quadrato trasformato in giardino con una fontana. Il primo edificio, accoglieva il teatro della famiglia e l’abitazione della servitù e degli ospiti; il secondo più in lato, presenta un porticato al pian terreno a tre arcate sovrastato da una terrazza, con una galleria affrescata nel Settecento dove venivano conservate le sculture antiche poi passate ai Torlonia, e collegato nel retro con un corpo di fabbrica due piani di finestre cinquecentesche, opera del Peruzzi, inserite nel semiperimetro del Teatro di Marcello; il terzo fabbricato ha una pianta a U con due ordini di finestre architravate e incorniciate, con una parte sulla destra che risvolta nella piazza sottostante con sei piani di finestre. Degna di visita è la chiesa di S. Gregorio della Divina pietà: la tradizione vuole che questo luogo di culto, risalente al XII secolo, fosse stato edificato sulla casa natale di San Gregorio Magno, vissuto tra il 540 ed il 604. L'aspetto attuale è di epoca successiva: nel 1727 infatti Benedetto XIII la fece ricostruire, commissionando l'opera a Filippo Bariglioni e la donò alla congregazione degli operai della Divina Pietà, sorta per aiutare le nobili famiglie, ridotte in miseria. Sul portale è collocato un ovale affrescato raffigurante la crocifissione, mentre un cartiglio, il motivo ornamentale dalla forma di un rotolo di carta in parte svolto, cita in ebraico e latino un passo della Bibbia, come monito alla perseveranza degli ebrei nel proprio credo. La chiesa si trovava vicino ad uno degli ingressi del ghetto: per questo motivo accoglieva, insieme a Sant'Angelo in Pescheria, gli appartenenti alla comunità ebraica che erano costretti a subire la pratica delle prediche coatte, cioè i sermoni cristiani che gli ebrei venivano obbligati ad ascoltare.
via del Portico di Ottavia
Prende il nome dal portico fatto costruire da Augusto come più comodo accesso per il Teatro di Marcello e dedicato a sua sorella Ottavia. Con i lavori di liberazione e restauro del Teatro di Marcello e dell'area circostante vennero alla luce i resti della Casa dei Vailati, una casa medioevale che deve il proprio nome all'omonima famiglia, i cui membri erano rappresentanti della nobiltà mercantile. Il palazzetto è costituito da due parti di epoca diversa, una duecentesca (verso il Teatro) e l'altra cinquecentesca. Le strutture del XIII secolo, in blocchetti di tufo, furono costruite scavando nel terreno di riporto accumulatosi intorno al Teatro, fino ad arrivare al piano originario in travertino dell'area compresa fra esso e il Portico di Ottavia, sul quale poggiano direttamente. La parte cinquecentesca risulta invece incastonata nella parte preesistente quando questa, probabilmente, era in parte crollata o demolita. La casa oggi è occupata da uffici della Sovraintendenza Comunale, al pari del vicino Albergo della Catena. L'Albergo della Catena prende il nome da una catena retta da colonnotti che un tempo sbarrava via della Catena di Pescheria. L'edificio occupa una parte del podio del Tempio di Apollo Sosiano ed è composto da tre diverse unità edilizie. L'unità più vicina al chiostro di S. Maria di Campitelli sarebbe stata costruita sui resti di una torre altomedioevale. L'unità centrale presenta i resti di un archetto che si poneva a cavallo del vicolo tra l'Albergo e i fabbricati immediatamente adiacenti. Nell’ultima unità di rilievo la facciata con due ghiere in laterizio del XIII secolo. Attualmente l'Albergo della Catena è sede della Sovraintendenza Comunale. Da via del Portico di Ottavia a piazza delle Cinque Scole si erigeva il muro perimetrale del Portico d’Ottavia. Il Portico d'Ottavia era una costruzione, fra le più monumentali dei tempi di Augusto, dedicata da Augusto stesso alla sorella Ottavia: ospitava luoghi di cultura, sale per spettacoli, concerti, biblioteche e occupava uno spazio compreso fra i 119 metri di lunghezza e i 132 metri di larghezza, cinto da doppi portici. Su ciò che resta del Portico di Ottavia è stata eretta intorno al 1200 la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, sede delle prediche forzate durante il periodo del Ghetto. Il nome "in Pescheria" si riferisce al mercato del pesce, fiorente in questa zona fin dall'antichità.
Alla destra della Chiesa di Sant'Angelo in Pescheria uno scenario di vecchie case costruite in età completamente diverse: sono case che delimitano l'antico tracciato del ghetto e sono strutture abitative costruite con materiali di reimpiego provenienti da materiale romano da costruzione (risalgono al periodo medievale) e si presentano molto malandate; è questa una zona in cui le altezze, le proporzioni, gli stili sono mischiati: terrazzini, balconi, tetti del 400, del '700, creano una continua varietà. All'esterno si riconoscono alcuni degli elementi tipici quattrocenteschi: nel piano terra vi erano le botteghe che i proprietari affittavano per avere il ricavato da destinare alla manutenzione dell'intero immobile. Lo slargo davanti al Portico è il punto dove, la mattina del 16 ottobre 1943, i nazisti disposero i camion con cui furono deportati gli ebrei catturati durante la razzia. Dei 1024 portati nei campi di sterminio, ne tornarono solo 16: nessuno degli oltre 200 bambini rastrellati è sopravvissuto. Una lapide ricorda e ammonisce senza parole di vendetta.
Alla destra della Chiesa di Sant'Angelo in Pescheria uno scenario di vecchie case costruite in età completamente diverse: sono case che delimitano l'antico tracciato del ghetto e sono strutture abitative costruite con materiali di reimpiego provenienti da materiale romano da costruzione (risalgono al periodo medievale) e si presentano molto malandate; è questa una zona in cui le altezze, le proporzioni, gli stili sono mischiati: terrazzini, balconi, tetti del 400, del '700, creano una continua varietà. All'esterno si riconoscono alcuni degli elementi tipici quattrocenteschi: nel piano terra vi erano le botteghe che i proprietari affittavano per avere il ricavato da destinare alla manutenzione dell'intero immobile. Lo slargo davanti al Portico è il punto dove, la mattina del 16 ottobre 1943, i nazisti disposero i camion con cui furono deportati gli ebrei catturati durante la razzia. Dei 1024 portati nei campi di sterminio, ne tornarono solo 16: nessuno degli oltre 200 bambini rastrellati è sopravvissuto. Una lapide ricorda e ammonisce senza parole di vendetta.
Addossata al propileo del Portico di Ottavia, è una casa medioevale detta torre Fornicata dei Grassi, dal nome della famiglia che la acquistò dagli Orsini nel 1369. Nel secolo XV la casa fu acquistata da un rivenditore di pesce, tal Renzo Perticappa e, infine, dall'Ospedale della Consolazione nel 1481. Sulla facciata principale, che si apre su via del Portico di Ottavia, vi sono alcuni frammenti di architravi romani incastonati sulla porta di accesso, sovrastati da una piattabanda di mattoni interi, secondo una caratteristica costruttiva del XII-XIII secolo.
Tribuna di Campitelli e piazza Campitelli
Senza entrare nel cuore del ghetto, già oggetto di passeggiata dedicata, ci immettiamo in via della Tribuna di Campitelli dove sopravvive un interessante esempio di casa medievale con portici terreni ad archi di mattoni, colonne antiche di spoglio con capitelli ionici del secolo XIII e basi di epoca classica. Quasi dirimpetto, si erge il resto di un altro edificio medioevale, forse da identificare con la Torre Stroncaria, di cui sappiamo che fu di proprietà, nel secolo XIV, della famiglia Vallati e che doveva trovarsi giusto nella zona di via di S. Angelo in Pescheria. Di seguito si apre piazza in Campitelli che fino al 1871 la piazza si chiamava S. Maria in Campitelli, dall’omonima chiesa, ma già nell’XI secolo era conosciuto il toponimo “contrada Campitelli”. Numerosi i palazzi storici presenti: i palazzi Cavaletti, Albertoni e Capizzucchi insieme S. Maria in Campitelli compongono una spettacolare quinta urbana su piazza Campitelli. Di antichissima origine, Santa Maria in Campitelli fu ricostruita nel XVII secolo su commissione di papa Alessandro VII, per custodirvi l'immagine di S. Maria in Portico, per adempiere al voto promesso in seguito alla liberazione dalla peste del 1656 che colpì Roma. Iniziata nel 1662 da Carlo Rainaldi fu consacrata nel 1728. La chiesa riunì infatti due titoli, Santa Maria in Campitelli, qui collocata dall'alto medioevo, e Santa Maria in Portico, dove era conservata l'immagine miracolosa. La facciata barocca, in travertino a edicole sovrapposte, è resa plastica dalla disposizione delle colonne. L'interno, a pianta rettangolare con volta a botte, presenta un primo corpo a croce greca ed un secondo più ristretto, con cupola ed abside. L'altare maggiore, disegnato da Rainaldi, fu realizzato da Antonio De Rossi, Ercole Ferrata e Giovanni Paolo Schor. Al centro è custodita l'immagine di S. Maria in Portico Campitelli, opera in lamina e smalti del XI secolo. Nelle cappelle laterali sono collocate tele di Luca Giordano, Sebastiano Conca e del Baciccia. Palazzo Albertoni Spinola, venne costruito originariamente per la famiglia Albertoni, i quali avevano altre proprietà sulla piazza, alcune delle quali, vennero abbattute per far posto alla chiesa di S. Maria in Campitelli. Il palazzo passò poi agli Altieri e quindi agli Spinola. L'edificio venne costruito tra il 1575 e i primi del seicento da Giacomo Della Porta, architetto a cui risale l'impianto originale e venne completato successivamente da Girolamo Rainaldi.
A quest'ultimo è da attribuire con certezza l'ornato della facciata, il portale, il cornicione decorato con simboli araldici e la sistemazione interna di alcune sale. Palazzo Capizucchi sorge su preesistenti proprietà della famiglia Capizucchi, che decisero di "rimodernare" la proprietà immobiliare di famiglia, che sorgeva dai primi decenni del XIII secolo sul luogo del Circo Flaminio. E' una probabile opera di Giacomo Della Porta, che in quegli anni a Roma lavorava moltissimo, iniziata nel 1580, oltre a rielaborare un precedente progetto affidato al Vignola. A seguito di ulteriori acquisizioni di case confinanti con il palazzo, si ebbero notevoli interventi nel 1672-74 ad opera probabilmente di Mattia de Rossi, che rielaborò i nuovi prospetti esterni e quelli del cortile. Nella piazza non si può trascurare la piccola fontana di piazza Campitelli, ideata da Giacomo della Porta nel 1589 e realizzata dallo scalpellino Pompilio de Benedetti. In origine la fontana era situata al centro della piazza, ma nel 1679 in seguito all'ampiamento della chiesa di santa Maria in Campitelli venne spostata nella posizione attuale. Il monumento, di travertino, è formato da un basamento ottagonale i cui lati rettilinei sono alternati ad altri concavi, su cui si innalza una vasca pure ottagonale, decorata con gli stemmi della quattro famiglie preminenti nella zona (Albertoni, Capizucchi, Muti e Ricci che si accollarono l'onere dei lavori) e da due mascheroni che versano acqua. Sopra la vasca, sorretto da un balaustro di marmo a forma di calice, trova posto un catino circolare al centro del quale si innalza un getto d'acqua. Infine, degno di nota il Palazzetto Flaminio Ponzio, un edificio che era stato costruito nel 1600 sulla via Alessandrina, nel rione Monti ed abbattuto nel 1933 in occasione delle demolizioni per l'apertura di via dei Fori Imperiali. Gli elementi architettonici originari del prospetto sono stati smontati e recuperati nel corso delle demolizioni, e dopo poco più di un ventennio furono rimontati in piazza Campitelli, su un’area precedentemente occupata da edifici soggetti anche essi a demolizione.
via Montanara
Via Montanara è quanto rimane dell’omonima piazza, scomparsa con l’apertura di via del Mare, (ora via del Teatro Marcello e via Luigi Petroselli), che prendeva il nome dalle proprietà che la famiglia Montanari, poi estintasi nei Cesarini, qui aveva. Proprio in questa piazza spesso veniva raffigurata la "Roma sparita" degli acquerelli ottocenteschi di Roesler Franz, caratterizzata dalle case medioevali, pullulante di gente, botteghe, mercati e osterie. Era una piazza pittoresca movimentata da andirivieni di “burini” in cerca di lavoro, venditori ambulanti, strozzini. Molti scrivani pubblici, unica possibilità di comunicazione epistolare per i molti analfabeti, avevano eletto qui domicilio, come pure i barbieri, tra i quali il famoso barbiere della "meluccia" che usava mettere in bocca ai clienti una piccola mela: usava sempre la stessa, per tendere le guance alla rasatura, e l'ultimo dei clienti aveva il diritto di mangiarsela.
Erano botteghe itineranti ed estemporanee, fatte di uno sgabello e qualche attrezzo di mestiere. Numerose le osterie: tra le più note, la locanda detta "der Bujaccaro", che distribuiva a pochi centesimi un minestrone fumante ai contadini che affollavano la piazza in attesa di occasioni di lavoro.
La chiesa di Santa Rita da Cascia in Campitelli, è una chiesa sconsacrata che non si trova nella sua posizione originaria; infatti fino al 1928 essa si trovava ai piedi della scalinata di Santa Maria in Aracoeli. In seguito alla demolizione della zona per la costruzione della Via del Mare, la chiesa venne “smontata” pezzo per pezzo, messa in deposito con l’intento di ricostruirla nello stesso posto; ciò avvenne nel 1940 quando la chiesa fu ricostruita invece nella posizione attuale.
La chiesa di Santa Rita da Cascia in Campitelli, è una chiesa sconsacrata che non si trova nella sua posizione originaria; infatti fino al 1928 essa si trovava ai piedi della scalinata di Santa Maria in Aracoeli. In seguito alla demolizione della zona per la costruzione della Via del Mare, la chiesa venne “smontata” pezzo per pezzo, messa in deposito con l’intento di ricostruirla nello stesso posto; ciò avvenne nel 1940 quando la chiesa fu ricostruita invece nella posizione attuale.
La chiesa in origine sorgeva sulla preesistente San Biagio, ma venne ricostruita nel 1643 da Carlo Fontana ed affidata da Papa Alessandro VII alla Confraternita della Santissima Spina della Croce di Gesù. cui poi si aggiunse il nome di S. Rita da Cascia. Nel 1952 l'edificio fu affidato alla congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza fondata da Don Orione, ed infine, nel 1990, tornò nel patrimonio disponibile del Comune di Roma; sottoposto intorno al 2000 ad un restauro complessivo, è attualmente utilizzato come spazio polifunzionale ed espositivo per iniziative culturali ed istituzionali.
via e piazza di Tor Margana
Dopo aver percorso vicolo e piazza Capizzucchi si giunge all'area di Tor Margana. Come l’omonima via e il vicolo, prende il nome dai Margani, fra le più potenti famiglie della Roma medievale, che qui ebbero le loro case, la cui impronta permane con la torre del XIV secolo al n.40 dell’omonima via, incorporata in una costruzione, più o meno della stessa altezza e in parte della stessa epoca. Tutta la zona, compresa via di Tor Margana, è caratterizzata da un’edilizia che spazia tra il XIII e il XVIII secolo in una specie di incastro di stili, nel quale si inseriscono anche frammenti di secoli più antichi, in modo da costituire un suggestivo percorso architettonico. Il complesso edilizio costituito da un corpo di fabbrica intorno ad una torre mozza si è venuto sviluppando tra il Trecento e il Cinquecento ed apparteneva alla potente famiglia baronale dei Margani. Questo complesso ha la sua parte più antica nella torre in laterizio, originaria del XIV secolo, anche se con aggiunte posteriori, che si erge su una base che ingloba resti di un porticato romano. La torre, suddivisa all’interno in tre piani, ha perduto buona parte della sua consistenza originaria a seguito di un crollo avvenuto nel XIV secolo. Fra la porta d'ingresso e la finestra del primo piano sono inseriti nel muro due frammenti romani, uno raffigurante un'aquila e l'altro un motivo floreale. Il cortile a destra della torre presenta una loggia, aggiunta nel Quattrocento, con archi chiusi successivamente. Il restante complesso situato sulla sinistra della torre è invece cinquecentesco.
Alla torre è unito il muro di cinta della corte oggi coperta, sul quale si apre un portale adorno di frammenti di cornici romane di epoca tarda mentre sull'architrave è presente uno stemma dei Margani del Quattrocento. Al n. 19 della piazza si erge il seicentesco Palazzo Maccarani, poi Odescalchi, con al piano terra sei finestre architravate e portale non in asse; mentre sette si aprono al piano successivo e al terzo. Il cortile, adornato da iscrizioni e frammenti antichi, racchiude un ninfeo. Di fronte, al n. 32, il Palazzetto Capocci con porta ad arco bugnato e cinque finestre; all’interno atrio a colonne e scala del cinquecento. Ai numeri 34-36 il Palazzetto Albertoni, a due piani di sei finestre architravate di travertino, con un portoncino architravato del quattrocento con sovrastante finestrella dove si trova lo stemma degli Albertoni.
Alla torre è unito il muro di cinta della corte oggi coperta, sul quale si apre un portale adorno di frammenti di cornici romane di epoca tarda mentre sull'architrave è presente uno stemma dei Margani del Quattrocento. Al n. 19 della piazza si erge il seicentesco Palazzo Maccarani, poi Odescalchi, con al piano terra sei finestre architravate e portale non in asse; mentre sette si aprono al piano successivo e al terzo. Il cortile, adornato da iscrizioni e frammenti antichi, racchiude un ninfeo. Di fronte, al n. 32, il Palazzetto Capocci con porta ad arco bugnato e cinque finestre; all’interno atrio a colonne e scala del cinquecento. Ai numeri 34-36 il Palazzetto Albertoni, a due piani di sei finestre architravate di travertino, con un portoncino architravato del quattrocento con sovrastante finestrella dove si trova lo stemma degli Albertoni.
Al termine di via Margana si torna su piazza dell'Aracoeli, dove la passeggiata era iniziata.
© Sergio Natalizia - 2009