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Donna Olimpia

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Donna Olimpia Maidalchini

ritratto di Olimpia Maidalchini Pamphilj  artista sconosciuto di scuola italiana

Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, scultura di Alessandro Algardi, 1646 Galleria Doria Pamphilj
Donna Olimpia Maidalchini (Viterbo, 26 maggio 1594 – 26 settembre 1657) fu una delle protagoniste della storia di Roma nel XVII secolo. Detta "la Pimpaccia di piazza Navona", è colei per la quale venne creato il famoso detto popolare: "chi dice donna dice danno". Figlia di un appaltatore viterbese, il capitano Sforza Maidalchini, e di Vittoria Gualterio, patrizia di Orvieto, patrizia romana e nobile di Viterbo, era destinata fin dall’infanzia al convento, ma riuscì con uno stratagemma a sottrarsi al suo destino accusando il suo confessore di molestie sessuali. A dire il vero quell'accusa si rivelò poi infondata tanto che il frate venne riabilitato, ma l'episodio bastò perché Olimpia potesse evitare la tonaca e sposare un personaggio locale, Paolo Pini, ricco e facoltoso pur se anziano, che la lasciò vedova, ricca e libera dopo soli tre anni. Donna Olimpia, ambiziosa ed anche avida, scelse come secondo marito un nobile romano più vecchio di lei di oltre trent'anni, Pamphilio Pamphilj, che sposò nel 1612. Questi la introdusse nella società romana e, soprattutto, la imparentò con suo fratello Giovanni Battista, futuro papa Innocenzo X. La presenza di Olimpia accompagnò la carriera del cognato Giovanni Battista Pamphilj fino al conclave ed oltre il soglio di Pietro, e non fu una presenza discreta: tutta Roma (a cominciare da Pasquino) parlava e sparlava di come Donna Olimpia apparisse molto più legata al cognato che al marito, di come chiunque volesse arrivare all'ecclesiastico Pamphilj dovesse passare attraverso la cognata, e di come costassero cari i suoi favori. Il popolo mormorava inoltre che fra i due non ci fosse solo quel rapporto spirituale e platonico ostentato in pubblico ma una vera e propria relazione intima. Rimasta vedova nel 1639 di Pamphilio, ricevette dal cognato papa il titolo di principessa di San Martino (di Viterbo) nel 1645. È certo che, così come era stata la principale artefice dell'elezione a papa del cognato, quando questa fu conclusa Olimpia divenne la dominatrice indiscussa della corte papale e di tutta Roma. Diventò, infatti, il consigliere più ascoltato dal papa, quasi la sua ombra: il Papa si fidava praticamente solo di lei, e proprio per questo, nel giro di pochi anni, divenne la donna più temuta e più odiata di Roma. Olimpia animò con le sue gesta le cronache scandalistiche romane seicentesche: il soprannome di Pimpaccia deriva da una pasquinata, cioè uno scritto satirico lasciato sulla più celebre "statua parlante" di Roma, Pasquino. In questo scritto Olimpia è definita "Olim-pia, nunc impia". Si tratta di un gioco di parole: in latino olim = una volta e pia =religiosa; nunc = adesso e impia (empia, piena di peccati). Il popolo romano fece proprie le accuse di arroganza e avidità che le venivano mosse dalla corte papale e le volgarizzò chiamandola "la papessa". Tra le pasquinate rimaste celebri sul suo conto: Chi dice donna, dice danno - chi dice femmina, dice malanno - chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina. Gli eccessi che le furono attribuiti erano soprattutto relativi ad un'ossessiva avidità di denaro e di potere: si diceva che la sua beneficenza fosse sempre interessata, come nel caso della protezione assicurata alle cortigiane che mascherasse una vera e propria organizzazione del traffico della prostituzione; che i comitati caritatevoli per l'assistenza ai pellegrini del Giubileo del 1650 fossero organizzati a scopo di lucro; che il Bernini, allora in disgrazia, avesse ottenuto la commessa per la fontana dei Fiumi di Piazza Navona solo per aver fatto omaggio alla Pimpaccia di un modello in argento alto un metro e mezzo del lavoro che voleva eseguire.  Quando il 7 gennaio 1655 Innocenzo X morì,  Donna Olimpia asportò dalla stanza di lui due casse piene d'oro e, a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale del papa rispondeva: "Che cosa può fare una povera vedova?" E così per l'avarizia dei parenti, il cadavere del pontefice rimase momentaneamente senza sepoltura, e solo grazie alla generosità del suo maggiordomo Scotti, che fece costruire una semplice cassa, e del canonico Segni, che intervenne finanziariamente per sostenere le spese, Innocenzo X potè essere sepolto nella chiesa di sant'Agnese in piazza Navona, peraltro  da lui commissionata. Allontanata da Roma, dopo la morte di papa Innocenzo nel 1655, dal successore Alessandro VII, Donna Olimpia morì di peste nelle sue tenute viterbesi di San Martino al Cimino nel 1657. Secondo la tradizione popolare la Pimpaccia, continuò ad imperversare anche post mortem, animando Roma con le sue scorribande notturne. La leggenda vuole che il 7 aprile, anniversario della morte di Innocenzo X, la Pimpaccia attraversi ancora le strade del centro di Roma su una carrozza fiammeggiante, dal palazzo di Piazza Navona, passando il Tevere a Ponte Sisto, per recarsi a fare i bagni in un palazzo a Trastevere, terrorizzando i passanti e facendo dispetti a chi gli capitava sotto mano. Alcuni toponimi di strade romane ancora oggi la ricordano, come via e piazza di Donna Olimpia; fino al 1914 esisteva, fuori Porta San Pancrazio nei pressi di villa Pamphilj, anche una Via Tiradiavoli, così denominata perché si diceva che lo stesso carro di fuoco la percorresse di gran carriera per portare la Pimpaccia alla villa papale, e che i diavoli vi avessero aperto una voragine per riportarsi all'inferno la Pimpaccia, il carro e tutti i tesori da lei accumulati in vita.
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