sull'Appia Antica
le mie passeggiate
una passeggiata archeologica
lungo l'Appia Antica, dal IV miglio alla villa di Massenzio
con Santina, Maria Grazia e Bruno, Pio e Annalucia, Maria e Marco con Birba, Tiziana ed Alessandro, Letizia e Paolo, Maria Pia e Giancarlo, Angela, Natalia, Claudio.
23 settembre 2012
La via Appia Antica nella storia
La via Appia fu la prima e la più importante tra le grandi strade costruite da Roma ed è stata chiamata per tale ragione la "regina viarum". Fu tracciata alla fine del IV secolo a.C. per mettere in diretta e rapida comunicazione Roma e Capua. Il nome deriva quello del magistrato che la fece costruire lasciandole il proprio nome nell'anno 312, Appio Claudio che ricopriva la carica di censore. La via fu realizzata superando notevoli difficoltà naturali, come le Paludi Pontine, con importanti opere d'ingegneria. Il primo tratto, fino a Terracina, era un rettifilo di circa 90 chilometri, di cui gli ultimi 28 fiancheggiati da un canale di bonifica che consentiva di alternare il tragitto in barca a quello sul carro o a cavallo. Dopo Terracina, la strada deviava verso Fondi, quindi attraversava le gole di Itri e scendeva a Formia e Minturno. Superata poi Sinuessa (l'odierna Mondragone), con un altro tratto rettilineo puntava a Casilinum (l'odierna Capua), sul Volturno, e da qui raggiungeva l'antica Capua (oggi S. Maria Capua Vetere). Il percorso totale era di 132 miglia, pari a 195 chilometri, e si effettuava normalmente con cinque/sei giorni di viaggio. Con la progressiva espansione del dominio di Roma nel Mezzogiorno, la via Appia fu più volte prolungata. Dapprima, subito dopo il 268 a.C., fino a Benevento, poi al di la dell'Appennino, fino a Venosa e quindi a Taranto. Finalmente, nel II secolo a.C. fu prolungata fino a Brindisi, porta dell'Oriente.
Il percorso dopo Benevento fu però a poco a poco sostituito da un itinerario alternativo che attraversava tutta la Puglia passando per Ordona, Canosa, Ruvo, Bari ed Egnazia. Nei primi anni del II secolo d.C. esso fu trasformato in una vera e propria variante dall'imperatore Traiano che le aggiunse il suo nome. Con la nuova via Appia Traiana era possibile andare da Roma a Brindisi in 13/14 giorni lungo un percorso totale di 365 miglia pari a poco meno di 540 chilometri. La via Appia era lastricata con grandi lastroni, o "basoli" di pietra basaltica di forma poligonale. La carreggiata aveva una larghezza standard di 14 piedi romani (circa 4,15 metri) sufficienti a consentire il passaggio contemporaneo di due carri nel doppio senso di marcia. Due marciapiedi in terra battuta delimitati da un cordolo di pietra e larghi ognuno almeno un metro e mezzo fiancheggiavano la carreggiata. Ogni 7 o 9 miglia nei tratti più frequentati (Km. 10/13) e ogni 10 o 12 miglia in quelli meno importanti (Km. 14/17), si allineavano lungo la strada le stazioni di posta per il cambio dei cavalli unitamente a luoghi di ristoro e di alloggio per i viaggiatori. Per quasi tutto il tratto viario, specie in prossimità dei centri abitati, la strada era fiancheggiata da grandi ville, da una serie infinita di monumenti di ogni dimensione, disposti su più file e soprattutto da impianti sepolcrali di vario genere. Avere una tomba di famiglia sulla via Appia, divenne fin dall'età repubblicana una vera e propria moda, per il prestigio che derivava dall'essere sepolti lungo il suo tracciato, con la certezza di non passare inosservati e sopratutto di essere dimenticati.
Gran parte del merito della conservazione della via Appia Antica è sicuramente degli interventi eseguiti per volontà di Pio VII e Pio IX, che riportarono alla luce ampie parti dell'originale basolato e la liberarono dalle macerie, rendendola un museo all'aperto. L'attuale aspetto romantico della via Appia Antica si deve agli interventi realizzati dapprima da Antonio Canova e poi, in modo più sistematico da Luigi Canina, caratterizzati dall'inserimento dei ruderi in una cornice paesaggistica, attraverso un allestimento ex novo dei resti dei monumenti che ha dato vita ad un paesaggio archeologico ricco di suggestioni.
il percorso
Il percorso della passeggiata si svolge a ritroso tra il quarto ed il secondo miglio della via Appia Antica: infatti quello che va dal quadrivio con via Erode Attico e via di Tor Carbone fino alla tomba di Cecilia Metella è il tratto più monumentale della strada, caratterizzato su ambedue i lati da un susseguirsi ininterrotto di edifici sepolcrali di varie tipologie, costruiti con differenti tecniche edilizie, dall’età repubblicana alla tarda età imperiale. Si va dalla più semplice tomba collettiva a incinerazione, generalmente sotterranea: il colombario, a quelle individuali o famigliari, in forma di altare, o di edicola su base quadrangolare, ai più elevati sepolcri a torre, per lo più ridotti al solo nucleo di calcestruzzo privato del rivestimento originario; tipici del paesaggio della via sono poi le tombe a tempietto su due piani in laterizio; i mausolei a pianta circolare e copertura conica frequenti lungo la strada riprendono la tradizione delle tombe a tumulo; frequenti sono poi anche i mausolei in laterizio, generalmente del III-IV secolo d.C., a pianta circolare o articolata e copertura a cupola. In quest’area operò in modo particolare Luigi Canina con i suoi interventi di conservazione e restauro, inserendo una cornice di pini e cipressi che ancora oggi caratterizza il paesaggio della via Appia Antica. Restauri successivi, come quelli eseguiti in occasione del Giubileo del 2000, hanno recuperato e ripristinato ampi tratti dell’antico selciato della via restituendole quell’assetto di “museo all’aperto” concepito dal Canina.
i principali monumenti
Sepolcro del Frontespizio
Monumento a forma di torre di cui si conserva il nucleo in calcestruzzo, davanti al quale fu aggiunto, nella sistemazione ottocentesca, un prospetto architettonico con timpano triangolare, su cui è inserito il calco di un rilievo con quattro busti-ritratto (l’originale è stato trasportato al Museo Nazionale Romano). Al centro è una coppia di coniugi, raffigurati nel gesto matrimoniale della “dextrarum iunctio”; ai lati un uomo e una donna più giovani sono probabilmente i loro figli.
Sepolcro dei Festoni
Questo sepolcro appartiene alla tipologia dei sepolcri ad ara ed è databile intorno alla prima metà del I secolo a.C.; costruito in blocchi di peperino, presenta un coronamento con pulvini e maschera di medusa ed un fregio con dei putti che sorreggono festoni, probabilmente di età repubblicana ed aggiunto dal Canina nell’ambito del suo intervento di restauro, da cui deriva la denominazione moderna del monumento.
Mausoleo dei Rabiri
Il mausoleo appartiene alla tipologia dei sepolcri a forma di ara, ricostruito dal Canina assemblando i frammenti marmorei rinvenuti nelle vicinanze. Il calco del rilievo originale, che è conservato al Museo di Palazzo Massimo alle Terme, mostra i ritratti dei tre defunti: C. Rabirius Hermodorus e sua moglie Rabiria Demaris, e Usia Prima, sacerdotessa di Iside, ritratta con il sistro e la patera, simboli del culto egizio della dea.
Sepolcro di Quinto Apuleio
Sepolcro ricostruito con un pezzo dell'iscrizione e un grosso frammento di lacunare fiorito in travertino che apparteneva ad un soffitto, poi una grata che chiude l'ingresso di una camera funeraria seminterrata, e un torso di statua acefala.
Sepolcro di Tiberio Claudio Secondino
Sepolcro attribuito alla famiglia di Tiberio Claudio Secondino, liberto dell'imperatore Claudio, per l'iscrizione. Si tratta di una tomba della fine del I sec. d.C. nella quale furono sepolti il capo famiglia, di professione esattore di banca, copista e messo, la moglie e due figli.
Sepolcro di Ilario Fusco
Si tratta di una quinta architettonica a forma di frontone triangolare realizzata dal Canina, in cui è inserito il calco (gli originali si conservano al Museo Nazionale Romano) di una stele funeraria con i ritratti a mezzo busto di cinque personaggi: una coppia di coniugi e la loro figlia; in ciascuna delle due nicchie laterali sono ritratti due personaggi maschili. L’iscrizione di Ilario Fusco murata insieme al rilievo dà il nome al sepolcro.
Sepolcro dei figli di Sesto Pompeo
Si tratta di un prospetto architettonico in laterizio a timpano triangolare realizzato da Antonio Canova, in cui è collocata un’iscrizione in esametri nella quale Sextus Pompeius Iustus ricorda la morte prematura dei suoi figli. Dei numerosi frammenti decorativi ed architettonici che erano inseriti nella muratura, si conserva soltanto un frammento di sarcofago con il ritratto di una coppia di coniugi all’interno di una valva di conchiglia.
Sepolcro di Marco Servilio Quarto
E' il monumento sepolcrale di Marco Servilio Quarto, che fu il primo ad essere restaurato, nel 1808, su progetto dello scultore neoclassico Antonio Canova: è una sorta di pilastro in laterizi e tufelli, in cui sono murati frammenti architettonici e decorativi e l’iscrizione dedicatoria del monumento originario
(«M.SERVILIVS QVARTVS / DE SVA PECVNIA FECIT»)
Altorilievo marmoreo eroico
E’ un calco in gesso di una stele funeraria con altorilievo in marmo già parte di un monumento perduto, di età repubblicana: raffigura un giovane nudo, in atteggiamento eroico, con il mantello sulla spalla e la corazza di tipo ellenistico ai piedi.
Torre di Capo di Bove
All’altezza del bivio tra la via Appia e via di Cecilia Metella, è visibile il nucleo di un sepolcro a torre o a edicola a più piani, conosciuto come Torre di Capo di Bove; due targhe apposte sul monumento ricordano le misurazioni trigonometriche effettuate lungo il rettifilo della via Appia dall’astronomo padre Angelo Secchi nel 1855.
Area archeologica di Capo di Bove
La località, denominata Capo di Bove è un’area di 8500 mq. fino al 2002 era una proprietà privata che comprendeva un parco, una villa su tre livelli e una costruzione più piccola, con importanti reperti e mosaici, di rilevanza storico-archeologica eccezionale. Solo nel gennaio 2002 lo Stato Italiano è riuscito ad entrare in possesso dell’area e alla fine di quell’anno iniziarono gli scavi e le ricerche d’archivio, poi i lavori sui due edifici, il minore destinato ad accogliere il pubblico, la villa vera e propria ristrutturata per ospitare il Centro di Documentazione dell’Appia e l’Archivio di Antonio Cederna, donato dalla famiglia allo Stato. Gli scavi hanno interessato una superficie complessiva di circa 1400 mq. Finora è emerso un impianto termale costruito alla metà del II secolo d.C., ma utilizzato almeno fino al IV secolo, come attestano tipologia di murature e ritrovamenti (ceramica, monete, bolli laterizi, lucerne). La scoperta di mosaici, numerosi frammenti di marmi policromi e porzioni di intonaco dipinto hanno rivelato ambienti di particolare eleganza e raffinatezza, probabilmente la residenza privata di Erode Attico e di sua moglie Annia Regilla.
Mausoleo di Cecilia Metella e Castello Caetani
Il Mausoleo di Cecilia Metella è forse il più noto sepolcro della via Appia, simbolo stesso della “regina viarum”. Al di sopra del basamento quadrato in calcestruzzo, poggia un corpo cilindrico di 30 metri di diametro, rivestito di lastre di travertino; nella parte superiore del tamburo corre un fregio in marmo greco decorato con teste di bue alternate a ghirlande, per il quale in età medievale fu attribuito alla zona il toponimo di “Capo di Bove”. Dal lato dell’edificio rivolto all’Appia, sotto un trofeo di armi che richiama le glorie belliche della famiglia, si trova l’iscrizione dedicatoria a Cecilia Metella, figlia di Q. Metello Cretico (in quanto conquistatore dell’isola di Creta) e moglie di M. Licinio Crasso, che riportò vittorie in Gallia al seguito di Cesare.
Il monumento si data all’inizio dell’età imperiale, tra il 25 e il 10 a.C; la cella funeraria è un ambiente a pianta circolare, rivestito in cortina laterizia, che si sviluppa per tutta l’altezza del mausoleo: vi era deposta l’urna con le ceneri della defunta, oggetto di spoglio probabilmente già nell’antichità.
In origine il sepolcro era coperto da un cono di terra, simile a quello del mausoleo di Augusto, demolito probabilmente nel XIV secolo, quando, divenuto possesso dei Conti di Tuscolo, la tomba di Cecilia Metella fu inserita all’interno di un borgo fortificato. All’inizio del XIV secolo per intermediazione di papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) passò nelle proprietà della famiglia Caetani, che fece costruire un palazzetto baronale in blocchetti di peperino addossato al lato sud del mausoleo, il cui tamburo venne sopraelevato con le merlature ghibelline che ancora oggi lo caratterizzano. Il grande sepolcro divenne quindi una vera e propria cittadella, un castrum, che si estendeva su ambedue i lati dell’Appia Antica, il cui scopo principale era il controllo dei traffici in entrata e in uscita da Roma. Per tale motivo l’area fu sempre appetita dalle grandi famiglie romane: dopo i Caetani, il possesso del castrum passò infatti ai Savelli, ai Colonna, agli Orsini ed infine ai Torlonia.
Il monumento si data all’inizio dell’età imperiale, tra il 25 e il 10 a.C; la cella funeraria è un ambiente a pianta circolare, rivestito in cortina laterizia, che si sviluppa per tutta l’altezza del mausoleo: vi era deposta l’urna con le ceneri della defunta, oggetto di spoglio probabilmente già nell’antichità.
In origine il sepolcro era coperto da un cono di terra, simile a quello del mausoleo di Augusto, demolito probabilmente nel XIV secolo, quando, divenuto possesso dei Conti di Tuscolo, la tomba di Cecilia Metella fu inserita all’interno di un borgo fortificato. All’inizio del XIV secolo per intermediazione di papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) passò nelle proprietà della famiglia Caetani, che fece costruire un palazzetto baronale in blocchetti di peperino addossato al lato sud del mausoleo, il cui tamburo venne sopraelevato con le merlature ghibelline che ancora oggi lo caratterizzano. Il grande sepolcro divenne quindi una vera e propria cittadella, un castrum, che si estendeva su ambedue i lati dell’Appia Antica, il cui scopo principale era il controllo dei traffici in entrata e in uscita da Roma. Per tale motivo l’area fu sempre appetita dalle grandi famiglie romane: dopo i Caetani, il possesso del castrum passò infatti ai Savelli, ai Colonna, agli Orsini ed infine ai Torlonia.
Mausoleo di Cecilia Metella - mostra di sculture
Castello Caetani e museo
la chiesa di S. Nicola
Situata di fronte al mausoleo di Cecilia Metella, è l'unico esempio di architettura gotico cistercense di Roma. Fatta erigere da Bonifacio VIII, fu consacrata nel 1303 come parrocchia del Castello Caetani. Caratterizzata dall'originale facciata con il campanile "a vela", cadde in abbandono fin dal '500. Il recente restauro ha consolidato la struttura muraria della navata unica, con la grande abside semicircolare e la parata di sei finestre per lato, impreziosite da cornici trilobate di marmo bianco.
la villa di Massenzio
La Villa di Massenzio è il complesso monumentale che comprende il Mausoleo di Romolo, il Palazzo Imperiale e il Circo. Massenzio associò, tra il 306 e il 312 d.C., in un unico complesso la sua residenza, un circo, luogo di incontro e di divertimento, e il mausoleo di famiglia, prima di essere definitivamente sconfitto da Costantino.
Il Mausoleo di Romolo
Il mausoleo che prende il nome dal figlio dell'imperatore Massenzio, morto nel 309 d.C. all’età di sette anni ed in seguito divinizzato, era stato concepito come tomba dinastica per tutta la famiglia imperiale, come dimostra il numero dei loculi esistenti in essa. Della costruzione originaria oggi si conserva, al centro di un quadriportico, il basamento a pianta circolare, privato dei blocchi di rivestimento, a cui si addossa il settecentesco Casale Torlonia. Il mausoleo, un grandioso edificio a due piani in forma di tempio, doveva avere l’aspetto di un piccolo Pantheon: coperto da una cupola e preceduto da un colonnato, presentava al piano inferiore la cripta per i sarcofagi, costituita da un ambiente circolare che si snoda intorno ad un pilastro centrale, mentre al piano superiore, non più conservato, era la cella per il culto dell’imperatore divinizzato.
Il palazzo imperiale
Il palazzo dall'alto della collinetta dominava con i suoi grandi ambienti absidati il circo, che occupava a sua volta una valletta naturale, nonché la tomba della famiglia imperiale con l'ingresso rivolto verso l'Appia, la via sepolcrale per eccellenza. Dei tre edifici che compongono la villa imperiale, il palazzo è certamente quello meno conservato: rimangono in piedi solo le parti absidali di tre grandi ambienti, il centrale dei quali, conosciuto come tempio di Venere e Cupido, è il fulcro dell'intero edificio da interpretarsi come "aula palatina" destinata alle udienze imperiali. Quest'aula era preceduta da un atrio comunicante con il porticato, lungo circa 200 metri e affrescato, che permetteva all'imperatore di passare direttamente dall'abitazione al palco imperiale nel circo.
Il circo
A differenza del Circo Massimo, il Circo di Massenzio non aveva carattere pubblico, ma era strettamente legato alla persona dell’imperatore ed alla sua residenza. Dell’impianto, lungo complessivamente 520 m. e largo 92 m., si conservano le due torri che si ergevano ai lati dei dodici stalli da cui partivano i cavalli, le gradinate che potevano accogliere fino a 10.000 spettatori, e la spina, intorno alla quale i carri compivano i sette giri della corsa. La spina è la struttura longitudinale che costituisce l’asse centrale del circo: lunga 296 m. e delimitata da due mete semicircolari, aveva in mezzo un canale suddiviso in dieci vasche per rinfrescare gli equipaggi durante la gara; sette uova e sette delfini mobili al di sopra di due edicole poste alle estremità indicavano agli spettatori i giri di pista di volta in volta compiuti dai carri.
Al centro della spina era collocato un obelisco che fu poi utilizzato dal Bernini nel 1650 per abbellire la Fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona. L’ingresso al circo per gli spettatori era costituito dall’arco che si apre nel lato curvo verso la Caffarella, e preceduto verso l’esterno da una gradinata. Dalla porta posta al centro del lato di testa, partiva la processione di carri, in pratica l’anteprima delle gare vere e proprie, con atleti, danzatori e acrobati, con in testa il magistrato che aveva offerto i giochi. La tribuna imperiale, situata nel lato settentrionale, era collegata al palazzo attraverso un corridoio porticato che permetteva all’imperatore di assistere ai giochi del circo senza uscire dalla sua residenza.
Dal circo di Massenzio si può godere di questa bellissima panoramica del complesso Del Mausoleo di Cecilia Metella; con questo monumento simbolo della via Appia Antica si chiude la nostra passeggiata archeologica.
ricordo della passeggiata
le foto di gruppo sono di Bruno Brunelli, Marco Salvatori e Claudio Perfetti
© Sergio Natalizia - 2012