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Ss. Luca e Martina

i percorsi di ALR
Storia architettonica, civile e religiosa di SS. Luca e Martina
Introduzione
Affacciata su uno slargo aperto sulla via dei Fori Imperiali, all’altezza dell’Arco di Settimio Severo, questa monumentale chiesa fu costruita in uno scenario tra i più belli della Roma antica, anche se poi gli scavi ottocenteschi e la ristrutturazione dell’area archeologica avvenuta negli anni trenta hanno snaturato la sua originale presenza. La sua posizione fu detta “in tribus foris”, perché posta tra il Foro Romano, il Foro di Cesare e quello di Augusto. Fondata da papa Onorio I (625-638) nell’aula del Secretarium Senatus fu dedicata alla martire S. Martina. Lo stesso pontefice fissò al 30 gennaio il giorno festivo della santa, elevandola a compatrona di Roma. Dall'antica chiesa di Santa Martina aveva inizio la processione della Candelora, istituita da papa Gelasio che per primo, proprio da questa chiesa, distribuì i ceri benedetti al popolo di Roma. Poi nel 1588 fu concessa da Sisto V all’Accademia del Disegno di San Luca che ne entrò in possesso in sostituzione della distrutta chiesa di San Luca all’Esquilino di cui ereditò il patronato, chiamandosi così chiesa di San Luca in Santa Martina. La chiesa che venne restaurata la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e successivamente nel 1635-64 da Ottaviano Mascherino il cui progetto rimase inattuato per carenza di fondi: si sostituì soltanto il vecchio pavimento con uno nuovo ad un più alto livello per ricavare un ambiente sotterraneo destinato ad accogliere le tombe degli accademici. Al 1623 risale il primo piano redatto dall’Accademia per costruire una nuova chiesa; in questa occasione Pietro da Cortona realizzò i primi studi architettonici documentati da alcuni disegni che mostrano una pianta centrale cruciforme sormontata da un ampio vano a cupola. Quando nel 1627 fu nominato protettore della confraternita il giovane cardinale Francesco Barberini e soprattutto più tardi, nel 1634, allorché divenne Principe dell’Accademia lo stesso Pietro da Cortona, fu possibile avviare più concreti progetti di rinnovamento. L’artista infatti si offrì subito di procedere a sue spese alla ricostruzione iniziando dalla cripta, nutrendo la speranza di trovare durante i lavori i resti della martire Martina e riuscire ad ottenere così il consenso e l'appoggio del papa per i lavori successivi. Ed infatti durante gli scavi nell’area della confessione della vecchia chiesa si rinvennero le spoglie sia della santa che di altri martiri. L’episodio suscitò una grande ondata di commozione ed entusiasmo tanto che Urbano VIII si recò subito a rendere omaggio alla santa impegnandosi nel contributo finanziario all’impresa di ricostruzione. Da parte sua il cardinale protettore donò l’ingente somma di 6000 scudi per erigere l’altare maggiore richiedendo la costruzione ex novo della chiesa. Pietro da Cortona trasformò come aveva promesso la cripta a sue spese, rendendola una delle cappelle più sontuose della città e divenendo l’architetto ufficiale del progetto e questa chiesa avrà sempre un significato speciale per il maestro, perché nell’ambito della sua carriera d’architetto conserverà il primato di unico edificio interamente realizzato secondo le sue intenzioni. Si accede alla chiesa tramite l’articolata facciata principale, che fino alle recenti sistemazioni tardo novecentesche costituiva il fondale di via della Consolazione.  La chiesa superiore, San Luca, aperta al culto, appartiene all’Accademia di San Luca. La chiesa inferiore, cui si accede dal lato sinistro dell'altare maggiore di San Luca, è affidata al Conservatorio di Sant’Eufemia, è dedicata a Santa Martina.
la Chiesa dei Santi Luca e Martina, con l'arco di Settimio Severo in una incisione di G.B. Piranesi
Vista della Chiesa dei Santi Luca e Martina, con l'arco di Settimio Severo ed il Tempio di Saturno
L'architettura della chiesa inferiore di Santa Martina
Nella chiesa inferiore, dove si conserva la memoria di Pietro da Cortona con un ricco monumento funebre eseguito da Luca Berrettini su disegno di Ciro Ferri, fu realizzato un capolavoro di preziosità barocca. La cripta fu pensata dal cortonese come un reliquiario le cui pareti furono interamente rivestite di marmi policromi: il progetto, datato 1648 ma realizzato tra il 1657-59, ripetè lo schema a croce greca della chiesa superiore, aggiungendo due corridoi a crociera destinati alle sepolture, e al loro incrocio un ambiente ottagonale. La volta della cripta fortemente schiacciata richiama, con il cassettonato in scorcio e l’oculo centrale, la cupola del Pantheon. Al centro, in corrispondenza delle reliquie, un eccezionale altare di bronzo intagliato e decorato ad intarsi di pietre preziose realizzato su disegno di Pietro da Cortona da Giovanni Artusi. Cosimo Fancelli eseguì i bassorilievi con Santa Martina davanti alla Madonna disegnati dallo stesso Pietro da Cortona. La chiesa inferiore di S. Martina era in completo contrasto con la chiesa superiore di S. Luca. Mentre la chiesa superiore era spaziosa, monumentale, chiara nella sua planimetria e austera nella sua bianchezza e candidezza, la cripta inferiore era bassa e complicata nella sua planimetria e la cappella principale traboccante di ricchi marmi colorati e ornamenti di bronzo. La sua elaboratissima pianta fu progettata in relazione alla chiesa superiore. La cappella principale che conteneva le relique della santa era posta sotto l’abside della chiesa superiore, con una piccola finestra che si apriva su una piccola corte, e collegata da un corto passaggio alla seguente cappella ottagonale. Da qui partiva un lungo corridoio che sorse sotto tutta la lunghezza del transetto e che riceveva luce dall’interno da tutte e due le parti finali del corridoio. L’apertura al centro del soffitto, coperta da una griglia, permette una vista della cupola della chiesa superiore. La cappella di S. Martina fu progettata e costruita molto bassa e il suo soffitto fu quasi piatto, diviso in sezioni con proiezioni ortogonali di pannelli recessi fra i costoloni. L’altare principale fu lasciato completamente aperto in modo da poter essere visto da entrambe le parti anteriore e posteriore. Questa vera e propria macchina liturgica di straordinaria bellezza che poggia su eleganti gradini di marmo nero con venature bianche circondata da una balaustra grigia, costituì il fulcro dell’intero spazio, raccolto e meditativo, come si addice ad un luogo di preghiera.
Altare della Chiesa inferiore, dettaglio del soffitto circolare e busto di Pietro da Cortona
Vano ottagonale e lucernario vs. la chiesa superiore
L'architettura della chiesa superiore di San Luca
Nel 1635 Pietro da Cortona rielaborò il suo vecchio progetto sostituendo all’assoluta centralità della pianta cruciforme, con la cupola all’incrocio dei bracci, un rapporto più equilibrato tra le parti. Secondo il principio barocco della somiglianza illusiva di elementi dissimili, il maestro introdusse in pianta una certa diversità tra la maggiore dilatazione dell’asse principale rispetto a quello minore. Ottenne questo effetto mediante l’uso originale delle coppie di colonne giganti poste su un alto zoccolo alternate a lesene; questo motivo si estende alle pareti di tutto l’ambiente, con un ritmo più disteso nelle absidi, più contratto nei piloni centrali. Il tema della croca greca allungata (vedi la mia narrativa di S. Carlo ai Catinari), trovò la sua più convincente interpretazione dell’alto barocco in questa chiesa. Il passaggio da un tipo di schema all'altro fu strettamente legato all'evolversi delle sue concezioni estetiche, e al nuovo modo di intendere il rapporto tra spazio e confini spaziali. Nell'interno, il motivo delle colonne interposte a lesene e sormontate da una trabeazione diventò il tema dominante della struttura parietale e conferì solennità cui contribuì il fatto che l'ordine di elevò su un alto piedistallo. Questo motivo è presente, sia pur trasformato, nella facciata. Qui le colonne non furono libere ma furono inserite per metà del loro spessore in incassi di parete, come già nelle facciate protobarocche del Maderno e del Ponzio. La novità della soluzione cortonesca sta invece nel fatto che le colonne non hanno più la funzione di delimitare le varie campate; così anche qui sono interposte a lesene e risultano parte della massa muraria cui furono legate.
Progetto originario (Disegno conservato nel Wien,Graphische Sammlung Albertina, AZ Italien, n.1279 r)
Soluzione finale (Disegno aggiornato da ALR nel 2008)
Con la facciata anch’essa tipicamente barocca, a due ordini, si manifestò la nuova spazialità del cortonese: la curvatura in avanti della porzione centrale della facciata impresse un moto d’effetto, come una compressione mal trattenuta dai brevi corpi laterali che tentavano di opporsi a quella convessità. Originariamente l’artista aveva previsto una facciata ben più vasta con ali laterali di ampiezza tale da ricoprire i bracci trasversali della croce, una soluzione che avrebbe permesso un migliore inserimento della chiesa nell’ambiente circostante e dato maggior risalto alla cupola, oltre a mettere in evidenza l’articolazione plastica della zona mediana e i suoi effetti pittorici di chiaroscuro. Ma le ali laterali previste non furono mai eseguite nel progetto finale. Alla morte di Pietro da Cortona (16 maggio 1669) la costruzione della chiesa era compiuta nelle sue parti essenziali. L’architetto Angelo Torrone diresse i lavori di completamento della facciata secondo le indicazioni del maestro: il piano superiore della facciata invertì l’articolazione sottostante, tutto il prospetto fu serrato da una trabeazione continua che culminò con un timpano ricurvo sormontato da due angeli, eseguiti da Giuseppe Giorgetti, con lo stemma di Urbano VIII realizzato nel 1671 da Antonio Cartone; due vasi a torce fiammanti completarono ai lati il coronamento. La cupola e il tamburo espressero decisamente l’esito di una ricerca sulla verticalità e lo slancio degli elementi che composero la struttura. La calotta, solcata da costoloni, si articolò col tamburo tramite una sorta di corona dietro cui svetta, culminando nella lanterna racchiusa da volute.
vista frontale di SS. Luca e Martina
la cupola
La decorazione dell’interno della chiesa fu eseguita con la direzione di Ciro Ferri entro il 1679. L’altare maggiore disegnato dal cortonese fu realizzato da Luca Berrettini e Domenico Tavolaccio. La pala con San Luca che dipinge il ritratto della Vergine è una copia eseguita da Antiveduto Grammatica del celebre dipinto di Raffaello che si conserva nella Galleria dell’Accademia. Sotto la mensa la statua di Santa Martina del 1635 di Niccolò Menghini che si ispira alla Santa Cecilia di Stefano Maderno. Nel tempo furono aggiunte molte altre opere tra cui un rilievo in terracotta di Alessandro Algardi raffigurante Cristo morto con la Vergine e Dio Padre, donato nel 1698 all’Accademia da Ercole Ferrata e posto sull’altare prospiciente il corridoio d’accesso. Al 1720 risale la donazione di Sebastiano Conca del grande dipinto con l’Ascensione di Maria, posto sull’altare del braccio sinistro. Tutto l’ambiente interno fu disegnato dai fasci di luce provenienti da fonti nascoste diffondendosi sulle pareti uniformemente candide. Anche la decorazione interna della cupola contribuì alla gradazione della luce che, percorrendo le articolazioni architettoniche, smaterializzò l’intera struttura. Sul pavimento, in corrispondenza della cupola, un'apertura circolare lascia intravedere la chiesa inferiore di Santa Martina. La luce fu, dunque, la protagonista di questa architettura che suggerì ed evocò un’atmosfera mistica e di sospensione. In epoca barocca si ricercò una relazione più forte fra l’edificio e la città. La facciata divenne una pelle spessa e autonoma. La decorazione ebbe il sopravvento sulla struttura, e così l’effetto scenografico divenne di primaria importanza. Le facciate si articolarono in volumi, sporgenti o rientranti. Il rapporto interno- esterno fu risolto in maniera spettacolare. L’organismo si protrasse verso l’esterno; i fronti diventarono scene teatrali urbane. Si cominciò a porre il problema della facciata come media che trasmette significati che seducono l’immaginario collettivo. Le facciate diventarono plastiche e segnarono il passaggio fra lo spazio interno e la città. Permettendo alla cupola di essere sorretta completamente da colonne, il Cortona diede maggior rilievo allo spazio centrale della navata e fece apparire le cappelle al di la della navata come un continuo ambulatorio per mezzo di pareti divisorie disposte radialmente.
interno- Altare Maggiore
interno - Cupola
Interno - Dettaglio del lucernario sulla chiesa inferiore
Interno - Dettaglio dei pilastri e dei pennacchi
Interno - Dettaglio dell'Altare maggiore
I restauri
La chiesa dei SS. Luca e Martina è una delle testimonianze di maggior rilievo del Barocco romano ed è stata da tempo interessata da una serie di interventi di restauro, curati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientale e Architettonici di Roma, con fondi ordinari del Ministero. A partire dal 1985 i lavori, compiuti in vari lotti, hanno riguardato il lanternino, il rivestimento esterno in lastre di piombo della cupola, le superfici ad intonaco delle volute alla base della cupola, quelle del tamburo ed, infine, tutte le altre coperture della chiesa. Dal 1996 al '99, sempre a cura della Soprintendenza, sono stati realizzati gli interventi di restauro degli ambienti sotterranei della cripta decorati con stucchi, preziosi marmi policromi e con un’architettura austera ma anche piena di plasticità e di movimento. Oltre alla pulitura di tutte le superfici marmoree che, ingiallite da strati di oli e cere sovrapposti, hanno ritrovato tutta l’intensità dei loro colori, il restauro ha determinato la scoperta della superficie originale, in uno stucco romano di ottima fattura, che ricopriva la volta della cappella al di sopra dell’altare. L’eliminazione degli strati di scialbo sovrapposti ha permesso inoltre di rimuovere l’alterazione del modellato degli stucchi, recuperandone i più raffinati particolari. Nel 2001, con un cantiere-studio situato nel braccio destro della chiesa superiore, sono state effettuate delle indagini per l’individuazione delle coloriture originali dell’interno della chiesa. Grazie ad uno stanziamento unitario di fondi da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è aperto nei primi mesi del 2007 un cantiere di restauro, diretto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Comune di Roma, che interessa tutto l’interno della chiesa, dalle superfici ad intonaco, agli stucchi, ai tre grandi altari, ai monumenti sepolcrali ed alle lapidi in marmo che ricordano gli accademici. L’operazione di restauro si propone lo scopo di riattribuire all’ambiente rivestito da intonaco tinteggiato, ricco di stucchi ed articolato da plastiche membrature formate da colonne, paraste e trabeazioni, quelle caratteristiche di plasticità e di nitore delle superfici che costituiscono una delle componenti primarie dell’architettura barocca e, in particolare, di quella ideata da Pietro da Cortona. L’interno della chiesa, ora attutito e mortificato da strati di tinteggiature, di oli, di cere e di sporco sovrapposti nel tempo, riacquisterà quella originaria, metafisica chiarezza uniforme, chiaramente allusiva della luce divina, realizzata attraverso un crescendo luminoso dal basso verso l’alto fino al tamburo, alla cupola ed al lanternino ed interrotta soltanto dalle macchie cromatiche dei tre altari marmorei, che costituiva un’intenzionalità fondamentale nella realizzazione di questa opera di Pietro da Cortona. Il restauro permetterà quindi ai visitatori di poter nuovamente apprezzare la qualità di un’architettura estremamente coinvolgente ed emozionante.

Vista della Chiesa dei SS. Luca e Martina e della Curia

Vista della Chiesa dei SS. Luca e Martina dall'Arco di Settimio Severo
Conclusioni
Il barocco romano ritenne sempre una caratteristica identità, pur attraverso tutte le variazioni personali di tutti i vari architetti. Quale la principale proprietà del carattere architettonico del barocco romano, desidero menzionare l’enfasi su “massa” e “plasticità”. Una vera plastica integrazione caratterizzò i progetti del Cortona, in particolare la chiesa di Santa Maria della Pace e soprattutto nel suo più grande capolavoro, le chiese di S.S. Luca e Martina in Roma che furono le prime chiese barocche progettate e costruite come una unità completa e monolitica. Invece di prendere o considerare cellule spaziali o membrane di pareti come il suo punto di partenza, il Cortona impose la sua continua serie di membri plastici, la cui variante densità costituì uno spazio che apparì eminentemente vivo. Questo processo fu evidente nel suo primo progetto a Roma, la villa Sacchetti (1625-1630), ma è ancora più evidente in un’altro dei suoi capolavori, la cupola di San Carlo al Corso (1668-1672). E, come ho spiegato precedentemente, fra questi due progetti si interpone la chiesa di Santa Maria della Pace. Il Cortona, di conseguenza, può essere considerato il più grande rappresentante dell’architettura del barocco romano, prendendo parte ai tradizionali caratteristici “oggettivi” e ad un processo di interazione e trasformazione architettonica. SS. Luca e Martina, meglio di qualunque altro esempio, espresse il processo di trasformazione del barocco di uno schema tradizionale. Piuttosto che rendere le chiese come un palcoscenico per mezzo di una persuasiva e naturalistica decorazione, come fece il Bernini, il Cortona diede “presenza” all’edificio medesimo, e di conseguenza realizzò un vero capolavoro dell’architettura barocca.
Alcune immagini e dettagli dell’interno della chiesa inferiore di Santa Martina sono stati  estratti da una ricerca curata dagli allievi delle classi 2°Ar e 4°Al dell'Istituto Tecnico Industriale “Giovanni XXIII” di Roma, che  nell’anno scolastico 2006/2007 ha aderito al progetto “Apprendisti Ciceroni” proposto dal Fondo per l’Ambiente Italiano.
Alessandro La Rocca - 2008
l'indirizzo mail di Alessandro La Rocca è: ACALAMOSCA@verizon.net
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