per terme, chiese e fontane
le mie passeggiate
per terme, chiese e fontane
con Santina, Carla e Aldo, Maria Grazia e Bruno, Paola e Sandro, Nella e Pilade, Roberta, Cristina, Sandra, Mauro, Massimo, Giuseppe
04 marzo 2010
E’ una passeggiata che si snoda da piazza della Repubblica a piazza Barberini, attraversando una parte del centro storico interessato dalle grandi ristrutturazioni avvenute dopo la proclamazione di Roma capitale d’Italia, ma che comunque permette di ammirare sia bellezze dell’età imperiale, sia chiese espressione del barocco romano, uno dei più scenografici palazzi di Roma ed, infine, fontane tra le più belle della città.
piazza della Repubblica
Già piazza delle Terme, dalle Terme di Diocleziano, si chiamò per lungo tempo piazza dell’Esedra: l'antico nome della piazza, ancora oggi molto comune, trae origine proprio dalla grande esedra delle terme romane, il cui perimetro è ricalcato dal colonnato semicircolare della piazza. L’attuale piazza, realizzata fra il 1896 e il 1902 su progetto di Gaetano Koch, abbraccia tutto l'imbocco di via Nazionale, coprendo anche una parte delle Terme di Diocleziano. Infatti, i due grandi porticati, in perfetto stile piemontese, ripetono il perimetro dell'antico Calidarium delle Terme.
Le Terme di Diocleziano
Le terme furono erette da Massimiano e Diocleziano fra il 298 e il 306 d.C., oltre ad essere le più scenografiche del mondo antico, erano le più grandi: occupavano, infatti, una superficie di 13 ettari e potevano ospitare fino a tremila persone contemporaneamente. Il complesso comprendeva una struttura centrale con calidarium, tepidarium e natatio (ambienti per bagni caldi o tiepidi e piscina di acqua fredda, in parte conservati) disposti lungo l'asse minore, e palestre ai lati dell'asse maggiore, con un ampio recinto circostante adibito a giardino. Le terme in genere, dal I secolo d. C. in poi, erano costruite con grandiosità: gli Imperatori vi profondevano grandi risorse per lasciare segno tangibile del loro potere e il popolo romano amava convenire alle terme non solo per le pratiche balneoterapiche, ma anche per partecipare alla vita cittadina di cui una parte non indifferente si svolgeva appunto nelle pubbliche Terme. Qui si poteva assistere a conferenze e a giochi ginnici nelle esedre e nelle palestre; negli affollati locali di ritrovo, nei portici per il passeggio al coperto si poteva trovare la conferma dell'ultima notizia; vi erano poi biblioteche, pinacoteche, sale per audizioni di musica: tutto si svolgeva in un ambiente fastoso e raffinato, dalla perfetta funzionalità e tecnica degli impianti, allo sfarzo delle decorazioni. Dal 1889 il complesso delle Terme è diventato sede del Museo Nazionale di antichità romane e vi sono raccolte diverse collezioni archeologiche. Nel chiostro michelangiolesco sono esposte circa 400 sculture di tutte le tipologie della produzione artistica romana (statuaria, materiali architettonici, sarcofagi, are dedicatorie). Al museo delle Terme appartengono anche l'Aula Ottagona, trasformata nel 1928 in un Planetario di cui si conserva intatta la straordinaria cupola a ombrello e le Olerarie Papali rinascimentali, dove in enormi olle veniva conservato l’olio.
S. Maria degli Angeli
La chiesa fu edificata a seguito delle numerose iniziative di Antonio Lo Duca, un sacerdote siciliano devoto al culto degli angeli, cui dedicò tutta la sua vita: fu Pio IV, Giovan Angelo de’ Medici (1559-1565) che accolse il desiderio del sacerdote, che non era riuscito a convincere i quattro papi cui si era rivolto e che avevano preceduto Pio IV, a costruire una chiesa da dedicare agli Angeli. Della costruzione fu incaricato Michelangelo, ormai 86enne, che ne stese il progetto ed ebbe la felice intuizione di utilizzare gli spazi all’interno delle Terme di Diocleziano, lasciando intatte le antiche strutture dell’aula rettangolare delle Terme, includendo nella nuova chiesa il tepidarium, compresi i vani angolari delle vasche (le attuali due cappelle dopo l’aula rotonda e le altre due prima del presbiterio) oltre i due ambienti attigui sui lati corti (aula rotonda e parte della natatio poi trasformata in coro rettangolare con una volta a botte). Lasciò intatte anche le otto grandi colonne di granito e aprì due porte all’estremità dell’aula, assegnando, come accesso principale, quello che dava sull’attuale cappella Albergati, in modo che chi entrasse avesse la splendida visione d’infilata dell’aula rettangolare, lunga oltre 90 metri.
Alla morte di Michelangelo, nel febbraio 1564, i lavori non erano ancora terminati ma furono continuati dal suo allievo, Jacopo Del Duca; poi, nel corso del 1700 intervenne sulla chiesa l’architetto Clemente Orlandi che alterò il progetto michelangiolesco chiudendo le due entrate del transetto, lasciando solo quella su piazza Esedra e riducendo i finestroni romani che davano luce alla chiesa. All’Orlandi successe Luigi Vanvitelli che apportò altre modifiche rispetto al disegno di Michelangelo: scomparsi ormai i vestiboli laterali trasformati in cappelle, chiusi tre dei quattro archi dei vani delle vasche, il Vanvitelli riordinò l’aula rotonda con l’aggiunta del cassettonato dipinto e di un lanternino sopra la cupola, aumentò la navata longitudinale di otto colonne in muratura che dovevano fare riscontro a quelle di granito del transetto e completò la trabeazione della chiesa ripetendo le sagome dei tratti di quella romana. Ideò la nuova facciata su Piazza Esedra, unica entrata rimasta per accedere alla chiesa. Altri lavori furono compiuti nel XIX secolo con il montaggio di un nuovo organo dietro l’altare maggiore nel presbiterio e con l’installazione di un nuovo ciborio sempre sullo stesso altare. Sempre in questo periodo, fu eretto l’altare della cappella di S. Brunone in sostituzione di quello settecentesco in legno e nel 1896 furono eliminati i gradini previsti dal Vanvitelli all’entrata dell’Esedra per raggiungere il piano michelangiolesco dell’interno. Infine nel 1911 fu demolita la facciata vanvitelliana su Piazza Esedra e ciò per rimettere in vista la nicchia del calidarium, con mattoncini romani recuperati, che rivelano comunque un rifacimento moderno che non ha giovato alla visibilità della chiesa che può essere scambiata dal passante distratto per un semplice rudere. Il lanternino vanvitelliano dell’aula rotonda, fu sostituito da altri non adatti che lasciavano filtrare l’acqua durante le piogge, finché nel 2001 fu installato quello, moderno, in vetro istoriato, ideato dall’artista italo-americano Narcissus Quagliata, allievo di De Chirico. Sul pavimento della crociera si vede la Meridiana o Linea Clementina di Francesco Bianchini, costruita su base di quella di Michelangelo, fu voluta da Clemente XI e inaugurata il 6 ottobre del 1702. Lo scopo dell'installazione era di verificare dimostrativamente la correttezza del Calendario Gregoriano e di determinare la data della Pasqua nel modo più coerente possibile con i moti del Sole e della Luna; viene ancora oggi considerato lo strumento scientifico della misurazione del tempo più prezioso del mondo. Nel 1998, infine, viene donato dal Comune di Roma, un nuovo monumentale organo che è stato sistemato nella cappella di S. Brunone. Una delle caratteristiche della basilica è data dalla presenza degli Angeli, innumerevoli, nei dipinti, sull’orlo degli stucchi, sui cornicioni, nascosti negli angoli. I più belli sono senz’altro i due grandi Angeli della scuola del Bernini che si incontrano appena oltrepassato l’atrio circolare. Sono disposti ai lati, l’uno di fronte all’altro, col capo girato da una parte, simmetrici quasi a guardare l’andirivieni di turisti o di fedeli che quotidianamente attraversa la basilica.
Alla morte di Michelangelo, nel febbraio 1564, i lavori non erano ancora terminati ma furono continuati dal suo allievo, Jacopo Del Duca; poi, nel corso del 1700 intervenne sulla chiesa l’architetto Clemente Orlandi che alterò il progetto michelangiolesco chiudendo le due entrate del transetto, lasciando solo quella su piazza Esedra e riducendo i finestroni romani che davano luce alla chiesa. All’Orlandi successe Luigi Vanvitelli che apportò altre modifiche rispetto al disegno di Michelangelo: scomparsi ormai i vestiboli laterali trasformati in cappelle, chiusi tre dei quattro archi dei vani delle vasche, il Vanvitelli riordinò l’aula rotonda con l’aggiunta del cassettonato dipinto e di un lanternino sopra la cupola, aumentò la navata longitudinale di otto colonne in muratura che dovevano fare riscontro a quelle di granito del transetto e completò la trabeazione della chiesa ripetendo le sagome dei tratti di quella romana. Ideò la nuova facciata su Piazza Esedra, unica entrata rimasta per accedere alla chiesa. Altri lavori furono compiuti nel XIX secolo con il montaggio di un nuovo organo dietro l’altare maggiore nel presbiterio e con l’installazione di un nuovo ciborio sempre sullo stesso altare. Sempre in questo periodo, fu eretto l’altare della cappella di S. Brunone in sostituzione di quello settecentesco in legno e nel 1896 furono eliminati i gradini previsti dal Vanvitelli all’entrata dell’Esedra per raggiungere il piano michelangiolesco dell’interno. Infine nel 1911 fu demolita la facciata vanvitelliana su Piazza Esedra e ciò per rimettere in vista la nicchia del calidarium, con mattoncini romani recuperati, che rivelano comunque un rifacimento moderno che non ha giovato alla visibilità della chiesa che può essere scambiata dal passante distratto per un semplice rudere. Il lanternino vanvitelliano dell’aula rotonda, fu sostituito da altri non adatti che lasciavano filtrare l’acqua durante le piogge, finché nel 2001 fu installato quello, moderno, in vetro istoriato, ideato dall’artista italo-americano Narcissus Quagliata, allievo di De Chirico. Sul pavimento della crociera si vede la Meridiana o Linea Clementina di Francesco Bianchini, costruita su base di quella di Michelangelo, fu voluta da Clemente XI e inaugurata il 6 ottobre del 1702. Lo scopo dell'installazione era di verificare dimostrativamente la correttezza del Calendario Gregoriano e di determinare la data della Pasqua nel modo più coerente possibile con i moti del Sole e della Luna; viene ancora oggi considerato lo strumento scientifico della misurazione del tempo più prezioso del mondo. Nel 1998, infine, viene donato dal Comune di Roma, un nuovo monumentale organo che è stato sistemato nella cappella di S. Brunone. Una delle caratteristiche della basilica è data dalla presenza degli Angeli, innumerevoli, nei dipinti, sull’orlo degli stucchi, sui cornicioni, nascosti negli angoli. I più belli sono senz’altro i due grandi Angeli della scuola del Bernini che si incontrano appena oltrepassato l’atrio circolare. Sono disposti ai lati, l’uno di fronte all’altro, col capo girato da una parte, simmetrici quasi a guardare l’andirivieni di turisti o di fedeli che quotidianamente attraversa la basilica.
la fontana delle Naiadi
Al centro di piazza della Repubblica si trova la Fontana delle Naiadi, sicuramente la più bella tra le fontane moderne di Roma. Costruita nel 1888 su progetto di Alessandro Guerrieri che attorno alla grande vasca circolare pose quattro leoni di gesso; questi vennero poi sostituiti nel 1901 dai quattro gruppi di bronzo dello scultore Mario Rutelli.
Le Naiadi erano le ninfe delle acque, apportatrici di fecondità e di ristoro e protettrici del matrimonio; quelle rappresentate sono la ninfa dei laghi, riconoscibile dal cigno che tiene a sé, la ninfa dei fiumi, sdraiata su un mostro dei fiumi, la ninfa degli oceani, in sella su un cavallo simbolo del mare, e la ninfa delle acque sotterranee, poggiata sopra un drago misterioso. Al centro si trova il gruppo del Glauco (1912), simboleggiante il dominio dell'uomo sulla forza naturale. L'acqua proviene dalla fonte dell'acqua Marcia, fra le più famose di Roma. Prima che venisse scolpito il Glauco, il Rutelli aveva collocato al centro della fontana tre tritoni con un delfino e un grosso polipo. Tutto quel groviglio di pesce fu subito soprannominato, dai romani, “fritto misto” e attualmente si trova in una fontana di Piazza Vittorio, sul fianco del ninfeo dell’Acqua Giulia.
La fontana fu al centro di molte polemiche in quanto le Naiadi da qualcuno erano ritenute offensive al pubblico pudore: furono pertanto nascoste per un certo periodo da una staccionata in attesa dell'inaugurazione ufficiale che tardava a giungere. Forse la vecchia Roma papalina mal sopportava che di fronte alla basilica di S. Maria degli Angeli, fossero mostrate queste bellezze femminili, cui avevano fatto da modelle alcune ragazze di Anticoli Corrado, paesino vicino Roma, famoso per l'avvenenza delle sue donne.
La sera del 10 febbraio 1901, incuriosita dalle discussioni capitoline e dalle polemiche giornalistiche, una gran folla di gente si era andata ammassando attorno allo steccato che il Comune non si decideva ancora ad abbattere, nonostante che l’opera fosse compiuta da vari giorni. Stanchi di curiosare attraverso le fessure, qualcuno cominciò a scavalcare, altri a schiodare il tavolato, finché incoraggiandosi l’un l’altro, fra una confusione generale lo steccato fu completamente abbattuto. In gran fretta, intanto, si era andati a chiamare dal vicino albergo del Quirinale lo stesso Rutelli (il quale è assai probabile non fosse estraneo a quella faccenda), affinché presenziasse a quella improvvisata inaugurazione delle sue “ciociare ubriache”.
Il giorno dopo il giornale “La Capitale” scriveva: “Ma come suole avvenire nei casi in cui l’attesa è grande e certo non corrispondente alla realtà delle cose, le sculture delle fontane non fecero arrossire nessun viso, né eccitarono soverchiamente i sensi dei chierichetti della basilica di fronte che onorarono di loro presenza la singolarissima inaugurazione”.
Le Naiadi erano le ninfe delle acque, apportatrici di fecondità e di ristoro e protettrici del matrimonio; quelle rappresentate sono la ninfa dei laghi, riconoscibile dal cigno che tiene a sé, la ninfa dei fiumi, sdraiata su un mostro dei fiumi, la ninfa degli oceani, in sella su un cavallo simbolo del mare, e la ninfa delle acque sotterranee, poggiata sopra un drago misterioso. Al centro si trova il gruppo del Glauco (1912), simboleggiante il dominio dell'uomo sulla forza naturale. L'acqua proviene dalla fonte dell'acqua Marcia, fra le più famose di Roma. Prima che venisse scolpito il Glauco, il Rutelli aveva collocato al centro della fontana tre tritoni con un delfino e un grosso polipo. Tutto quel groviglio di pesce fu subito soprannominato, dai romani, “fritto misto” e attualmente si trova in una fontana di Piazza Vittorio, sul fianco del ninfeo dell’Acqua Giulia.
La fontana fu al centro di molte polemiche in quanto le Naiadi da qualcuno erano ritenute offensive al pubblico pudore: furono pertanto nascoste per un certo periodo da una staccionata in attesa dell'inaugurazione ufficiale che tardava a giungere. Forse la vecchia Roma papalina mal sopportava che di fronte alla basilica di S. Maria degli Angeli, fossero mostrate queste bellezze femminili, cui avevano fatto da modelle alcune ragazze di Anticoli Corrado, paesino vicino Roma, famoso per l'avvenenza delle sue donne.
La sera del 10 febbraio 1901, incuriosita dalle discussioni capitoline e dalle polemiche giornalistiche, una gran folla di gente si era andata ammassando attorno allo steccato che il Comune non si decideva ancora ad abbattere, nonostante che l’opera fosse compiuta da vari giorni. Stanchi di curiosare attraverso le fessure, qualcuno cominciò a scavalcare, altri a schiodare il tavolato, finché incoraggiandosi l’un l’altro, fra una confusione generale lo steccato fu completamente abbattuto. In gran fretta, intanto, si era andati a chiamare dal vicino albergo del Quirinale lo stesso Rutelli (il quale è assai probabile non fosse estraneo a quella faccenda), affinché presenziasse a quella improvvisata inaugurazione delle sue “ciociare ubriache”.
Il giorno dopo il giornale “La Capitale” scriveva: “Ma come suole avvenire nei casi in cui l’attesa è grande e certo non corrispondente alla realtà delle cose, le sculture delle fontane non fecero arrossire nessun viso, né eccitarono soverchiamente i sensi dei chierichetti della basilica di fronte che onorarono di loro presenza la singolarissima inaugurazione”.
Nei giorni successivi, tra i visitatori illustri si registrò anche la regina Margherita: l'eco delle polemiche aveva suscitato la sua curiosità. Giunta in carrozza ordinò al cocchiere di fare il giro della fontana ben tre volte e ripartì mostrando un vivo compiacimento.
Proprio per le polemiche suscitate, la fontana è entrata anche tra i temi trattati negli stornelli del Sor Capanna, il popolare cantastorie romano del primo novecento:
"C'è a piazza delle Terme un funtanone / che uno scultore celebre ha guarnito / co' quattro donne ignude a pecorone / e un omo in mezzo che fa da marito. / Quanto è bello quer gigante / Iì tra in mezzo a tutte quante: / cor pesce in mano /annaffia a tutte quante er deretano".
Fontana del Mosè, mostra dell'Acquedotto Felice
La Fontana del Mosè, o Mostra dell'Acqua Felice, fu così chiamata in onore di papa Sisto V, al secolo Felice Peretti: intenzione del papa era di rifornire d’acqua i nuovi rioni nei colli Viminale e Quirinale e in particolare la sua villa Montalto, che si estendeva su entrambi i colli.
A tale scopo fu ripristinato l'acquedotto Alessandrino, così detto dal nome dell'imperatore romano Alessandro Severo sotto il cui regno era stato costruito, utilizzando l’acqua proveniente da sorgenti che si trovavano nei pressi di Palestrina. L’opera fu realizzata tra il 1585 e il1587 su progetto di Giovanni Fontana con la forma di un arco trionfale a tre fornici in travertino, marmo e stucco, scanditi da quattro colonne ioniche, in corrispondenza di quattro leoni stilizzati all’egiziana. Le colonne reggono l'architrave su cui posa l'attico sormontato da un'edicola contenente lo stemma papale sorretto da due angeli e affiancato da due piccoli obelischi. Gran parte del travertino proviene dalle vicine Terme di Diocleziano; i leoni originali, due di porfido e due di marmo chiaro, provenivano dal Pantheon e dall'ingresso centrale della basilica di San Giovanni in Laterano, dove sostenevano le colonne a fianco della porta.
A tale scopo fu ripristinato l'acquedotto Alessandrino, così detto dal nome dell'imperatore romano Alessandro Severo sotto il cui regno era stato costruito, utilizzando l’acqua proveniente da sorgenti che si trovavano nei pressi di Palestrina. L’opera fu realizzata tra il 1585 e il1587 su progetto di Giovanni Fontana con la forma di un arco trionfale a tre fornici in travertino, marmo e stucco, scanditi da quattro colonne ioniche, in corrispondenza di quattro leoni stilizzati all’egiziana. Le colonne reggono l'architrave su cui posa l'attico sormontato da un'edicola contenente lo stemma papale sorretto da due angeli e affiancato da due piccoli obelischi. Gran parte del travertino proviene dalle vicine Terme di Diocleziano; i leoni originali, due di porfido e due di marmo chiaro, provenivano dal Pantheon e dall'ingresso centrale della basilica di San Giovanni in Laterano, dove sostenevano le colonne a fianco della porta.
Nelle nicchie laterali sono due altorilievi, a sinistra Aronne guida il popolo ebreo all'acqua scaturita dal deserto, opera di Giovan Battista Della Porta e a destra Giosuè che fa attraversare agli Ebrei il Giordano asciutto di Flaminio Vacca.
Nel nicchione centrale è raffigurato Mosè che indica le acque miracolosamente scaturite dalla roccia, opera di Leonardo Sormani, con la collaborazione di Prospero Antichi, detto il Bresciano, al quale fu a lungo attribuita l’esclusività dell’opera, con la falsa leggenda che, a causa della vergogna da lui provata per bruttezza della statua, sarebbe morto di crepacuore. Oltre l'anacronismo della presenza delle Tavole della Legge, che Mosè non aveva ancora ricevuto all'epoca del miracolo delle acque, la statua, per quanto intenda rifarsi a modelli michelangioleschi, si presenta tozza ed enfatica, tanto da essere battezzata dai romani il "Mosè ridicolo" ed essere spesso oggetto di pasquinate come questa:
È buona l’acqua fresca e la fontana è bella
Con quel mostro di sopra però non è più quella
O tu, Sisto, che tanto tieni alla tua parola
Il nuovo Michelangelo impicca per la gola
Fu la prima delle mostre d’acqua romane, ma la sua imponenza non riscatta la disarmonia tra frontespizio e coronamento e, naturalmente, l’infelice riuscita della statua del Mosè, che pure della fontana doveva essere il principale riferimento artistico.
S. Maria della Vittoria
Costruita dai Carmelitani scalzi fra il 1608 e il 1620, sotto la direzione del Maderno, ed inizialmente dedicata a San Paolo, deve il suo titolo attuale alla vittoria riportata dall'esercito cattolico nella battaglia della Montagna Bianca presso Praga (8 novembre 1620) nella Guerra dei trent'anni, che vide una vittoria delle truppe cattoliche su quelle protestanti. Questa vittoria fu attribuita , alla protezione della Madonna più che al valore dei combattenti: infatti, nel momento in cui si stava profilando la sconfitta dei cattolici, intervenne nel combattimento Padre Domenico di Gesù e Maria, carmelitano scalzo, che portava al collo una immagine sacra della Madonna da cui furono visti uscire vivissimi raggi di luce che abbagliarono i nemici, costringendoli ad una fuga disordinata. L'8 maggio 1622, l'immagine prodigiosa fu solennemente trasportata in questa chiesa, che da allora si chiamò di S. Maria della Vittoria o semplicemente "la Vittoria". La facciata è di Giovanni Battista Soria e si richiama al vicino prospetto di S. Susanna: è su due ordini, con un timpano triangolare alla sommità e un timpano arcuato al di sopra del portale d'accesso. L'interno è costituito da un'unica navata coperta da volta a botte ed è delimitata da tre cappelle per lato; il soffitto presenta affreschi di Gian Domenico Cerrini (Trionfo di Maria sulle eresie e la Caduta degli angeli ribelli). Sempre all'interno si possono ammirare tre pale d'altare del Domenichino, una del Guercino ed un dipinto di Guido Reni.
L'attrazione principale della chiesa però, è l'altare del transetto sinistro, con lo spettacolare gruppo scultoreo dell'Estasi di Santa Teresa d'Avila, opera di Gian Lorenzo Bernini, realizzata tra il 1644 e il 1652, durante il pontificato di papa Innocenzo X. La cappella è costituita da un altare convesso che apre il suo retroscena in uno spazio ovale, da cui la luce scende da una finestra sul soffitto, invisibile dall'esterno, creando un effetto soprannaturale. Il gruppo scultoreo con Santa Teresa d'Avila e l'Angelo che le trafigge il cuore con un dardo sono illuminati da una luce che spiove così dall'alto, come guidata dai raggi metallici dorati sullo sfondo. L'intero complesso sembra così una sorta di palco teatrale, e il paragone con il mondo scenico è esplicitato da Bernini nei rilievi delle pareti laterali, con i personaggi che assistono alla scena da due palchetti. Tutto l'insieme è decorato da una profusione di ori, affreschi e marmi preziosi.
S. Susanna
Le origini di questa chiesa sono antichissime. Nata come chiesa paleocristiana nel 280, divenne luogo di culto cristiano nel 330. Fu edificata sulle case di Gabinio e Caio, rispettivamente padre e zio della martire, oltre che cugini di Diocleziano, tanto che l'antico appellativo della chiesa fu Santa Susanna “ad duas domos” (alle due case).
La tradizione vuole che Susanna, originaria di Salona, nella Dalmazia e figlia del sacerdote Gabinio, essendosi votata alla verginità, avesse rifiutato di sposare Massimiano, il figlio dell'imperatore Diocleziano. Per tale motivo venne condannata alla decapitazione che fu eseguita nel 295 dinanzi alla propria abitazione. La moglie dell'imperatore, Serena, che aveva segretamente abbracciato la fede cristiana, ne avrebbe posto la salma in un sarcofago, collocato nelle catacombe di San Callisto. Suo zio Caio, divenuto papa, ordinò poi che la martire venisse commemorata liturgicamente nella sua stessa abitazione. Quando poi l'imperatore Costantino permise ai cristiani di avere i propri luoghi di culto (le prime chiese ebbero origine nei luoghi in cui i primi cristiani si incontravano in privato o in segreto), si trasformò in vera e propria chiesa e molti furono i restauri susseguitisi nei secoli.
La tradizione vuole che Susanna, originaria di Salona, nella Dalmazia e figlia del sacerdote Gabinio, essendosi votata alla verginità, avesse rifiutato di sposare Massimiano, il figlio dell'imperatore Diocleziano. Per tale motivo venne condannata alla decapitazione che fu eseguita nel 295 dinanzi alla propria abitazione. La moglie dell'imperatore, Serena, che aveva segretamente abbracciato la fede cristiana, ne avrebbe posto la salma in un sarcofago, collocato nelle catacombe di San Callisto. Suo zio Caio, divenuto papa, ordinò poi che la martire venisse commemorata liturgicamente nella sua stessa abitazione. Quando poi l'imperatore Costantino permise ai cristiani di avere i propri luoghi di culto (le prime chiese ebbero origine nei luoghi in cui i primi cristiani si incontravano in privato o in segreto), si trasformò in vera e propria chiesa e molti furono i restauri susseguitisi nei secoli.
Gli scavi condotti alla fine dell'Ottocento sotto l'altare della confessione (cioè l'altare edificato sul luogo del martirio), portarono alla luce una casa romana del III secolo; tali scavi sono ora visibili attraverso la pavimentazione in vetro della sacrestia. Nel 1475 Sisto IV la riedificò completamente e la affidò all'ordine degli eremitani di Sant'Agostino e la elevò a titolo cardinalizio; poi, dal 1587, papa Sisto V ne fece la sede della comunità monastica cistercense femminile di San Bernardo.
Il complesso, espropriato con gran parte del convento dallo Stato unitario dopo il 1870, ritornò gradualmente in possesso del titolo cardinalizio ed è assegnato dal 1937 a cardinali americani e per questa ragione è attualmente la chiesa nazionale dei cattolici statunitensi a Roma, anche se è rimasta proprietà del monastero cistercense. L’interno è ad una sola navata, con abside e due cappelle laterali; le pareti dell’aula centrale sono affrescate con le scene della vita di Santa Susanna, mentre il soffitto contiene un affresco con al centro la Vergine, di particolare bellezza. Anche l’abside è ricoperto da affreschi che raffigurano scene della vita della santa, mentre l’altare maggiore ne rappresenta la decapitazione. Nella sacrestia sono conservati gli affreschi del VII secolo riferibili alla primitiva chiesa paleocristiana e ritrovati durante uno scavo archeologico avvenuto nel 1990.
La facciata di Santa Susanna, opera di Carlo Maderno del 1603. è definita il "primo esempio pienamente realizzato di architettura barocca", costituisce un momento di straordinaria qualità nel passaggio complesso dal tardo Manierismo romano all'inizio del Seicento. Infatti, alcune intuizioni sembrano anticipare le ricerche barocche sul tema della visione e del rapporto con il contesto urbano.
La facciata di Santa Susanna, opera di Carlo Maderno del 1603. è definita il "primo esempio pienamente realizzato di architettura barocca", costituisce un momento di straordinaria qualità nel passaggio complesso dal tardo Manierismo romano all'inizio del Seicento. Infatti, alcune intuizioni sembrano anticipare le ricerche barocche sul tema della visione e del rapporto con il contesto urbano.
S. Bernardo alle Terme
San Bernardo alle Terme fu edificata in corrispondenza di uno dei quattro torrioni angolari del muro perimetrale delle Terme di Diocleziano. La chiesa nasce infatti dall'adattamento, effettuato negli anni tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, di una delle aule circolari delle Terme di Diocleziano: più precisamente fu costruita all'interno di uno spheristerium (sala per i giochi con la palla) delle Terme. L'idea di trasformare la Torre delle Terme in Chiesa fu della Contessa Caterina Sforza Cesarini, una nipote di papa Giulio III, che ne ordinò l'edificazione nel 1598 e le cui spoglie riposano proprio all'interno di questa chiesa. La Chiesa fu dedicata dalla Contessa Caterina Sforza a San Bernardo da Chiaravalle, fondatore dei Cistercensi, al quale era particolarmente devota. E' certamente singolare il suo aspetto, un enorme corpo cilindrico, la cui smisurata ampiezza appare evidente dal fatto che l'altro torrione superstite adesso ingloba la casa del Passeggero, su via del Viminale. La struttura di San Bernardo era originariamente simile a quello del Pantheon: infatti anche San Bernardo ha una forma cilindrica, con un diametro di 22 m e con una cupola con un tamburo ottagonale e una piccola apertura in cima per illuminare l’interno, tanto che è soprannominata " la chiesa senza finestre ". L’interno è di forma ellittica e sul perimetro del grande muro circolare che sostiene la cupola vi sono otto nicchie ricavate nelle pareti occupate da statue di santi databili al 1600, scolpite da Camillo Mariani. La struttura originale ha visto l'aggiunta della cappella di san Francesco.
L’ingresso, originariamente separato dagli scomparsi "caldarium" e bagni dal "tepidarium" delle terme, adesso è diventato il vestibolo della basilica e qui si trova la più bella statua della basilica, rappresentante S. Bruno, fondatore dell’Ordine monastico Cartusiano. La struttura è coronata da una volta il cui interno è decorato con cassettoni ottagonali, che via via si riducono verso l'oculo circolare al sommo della cupola, con un effetto complessivo che ricorda appunto quello del Pantheon. L'oculo, che permette alla luce di entrare nella basilica a diverse ore del giorno, veniva usato in passato come meridiana.
Le Quattro Fontane
L'incrocio delle Quattro Fontane tra la via Felice e la strada Pia (ora scomposta in via Quattro Fontane, via Agostino Depretis, Via del Quirinale e via XX Settembre), si trova sul percorso che da Trinità dei Monti porta a Santa Maria Maggiore ( la vecchia strada Felice) voluto da papa Sisto V, che fece sistemare l’incrocio con le fontane dei fiumi ai quattro angoli, con le prospettive dei tre obelischi (Esquilino, Sallustiano e del Quirinale) e della michelangiolesca porta Pia, costituisce uno degli insiemi più caratteristici della città.
Le fontane, costruite tra il 1588 e il 1593 rappresentano: il Tevere, l'Arno, Diana e Giunone. La prima è simbolo di Roma, la seconda di Firenze, mentre quella di Diana e Giunone sono simbolo rispettivamente della Fedeltà e della Fortezza. Solo più tardi furono costruiti i palazzi attuali, che hanno "inglobato" le quattro statue in quattro nicchie ai loro angoli.
Le fontane, costruite tra il 1588 e il 1593 rappresentano: il Tevere, l'Arno, Diana e Giunone. La prima è simbolo di Roma, la seconda di Firenze, mentre quella di Diana e Giunone sono simbolo rispettivamente della Fedeltà e della Fortezza. Solo più tardi furono costruiti i palazzi attuali, che hanno "inglobato" le quattro statue in quattro nicchie ai loro angoli.
Le fontane del Tevere, dell'Arno e di Giunone sono di Domenico Fontana, che aveva progettato la via; la quarta, quella di Diana che volge le spalle a nord, è di Pietro da Cortona.
S. Carlo alle Quattro Fontane
La chiesa, considerata uno dei capolavori dell'architettura barocca, è dedicata a Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, ed è soprannominata dai romani “San Carlino” per le sue ridotte dimensioni, tanto da coprire con la sua area quella di uno solo dei quattro pilastri che sorreggono la cupola della basilica di San Pietro in Vaticano. La chiesa, il chiostro ed il convento vennero realizzati tra il 1634 e il 1644 da Francesco Borromini, mentre la facciata venne progettata e realizzata molto più tardi, a partire dal 1664; dopo la morte dell'architetto nel 1667, i lavori vennero continuati dal 1670 al 1680 dal nipote Bernardo Borromini ed il campanile venne realizzato nel 1670.
La chiesa ed il complesso conventuale sono caratterizzati dalle dimensioni sorprendentemente piccole e la semplicità dei materiali, conformemente con la regola e la spiritualità dei frati di origine spagnola dell'ordine dei Trinitari, all'epoca appena insediati a Roma, ma anche con le convinzioni del Borromini. La facciata, ultima opera borrominiana, trasmette con forza la propria energia interna, suggerita dall'andamento curvilineo, concavo ai lati, convesso al centro, del prospetto a due ordini.
L'interno ha uno sviluppo fortemente verticale, che conduce gli sguardi verso la cupola ovale, a croci, ad ottagoni, ed esagoni che vanno riducendosi di dimensioni verso il lanternino, suggerendo l'idea di uno spazio maggiore che non in realtà, soluzione derivata da monumenti a cupola della tarda antichità romana. Di grande raffinatezza sono tutte le soluzioni decorative, anch'esse minutamente dirette dal Borromini, unificate dalla profusione di stucchi bianchi che danno alla chiesa una tonalità luminosa particolarmente chiara. Di notevole interesse anche l'architettura del convento, che in alcune soluzioni sembra preludere a quella del settecento. Lo scorcio migliore si ha da via Depretis, da dove è visibile anche il campanile.
La chiesa ed il complesso conventuale sono caratterizzati dalle dimensioni sorprendentemente piccole e la semplicità dei materiali, conformemente con la regola e la spiritualità dei frati di origine spagnola dell'ordine dei Trinitari, all'epoca appena insediati a Roma, ma anche con le convinzioni del Borromini. La facciata, ultima opera borrominiana, trasmette con forza la propria energia interna, suggerita dall'andamento curvilineo, concavo ai lati, convesso al centro, del prospetto a due ordini.
L'interno ha uno sviluppo fortemente verticale, che conduce gli sguardi verso la cupola ovale, a croci, ad ottagoni, ed esagoni che vanno riducendosi di dimensioni verso il lanternino, suggerendo l'idea di uno spazio maggiore che non in realtà, soluzione derivata da monumenti a cupola della tarda antichità romana. Di grande raffinatezza sono tutte le soluzioni decorative, anch'esse minutamente dirette dal Borromini, unificate dalla profusione di stucchi bianchi che danno alla chiesa una tonalità luminosa particolarmente chiara. Di notevole interesse anche l'architettura del convento, che in alcune soluzioni sembra preludere a quella del settecento. Lo scorcio migliore si ha da via Depretis, da dove è visibile anche il campanile.
palazzo Barberini
Fu costruito nel periodo 1625-1633 sulla villa campestre della famiglia Sforza su progetto Carlo Maderno, coadiuvato da Francesco Borromini.
Il Palazzo, che è sicuramente uno dei capolavori del Barocco romano e non solo, presenta una struttura ad H, con un magnifico atrio a ninfeo, che si pone come diaframma tra il loggiato dell'ingresso e il giardino retrostante. Alla morte del Maderno, nel 1629, la direzione dei lavori passò sotto Gian Lorenzo Bernini, sempre coadiuvato dal Borromini, al quale si deve lo scalone elicoidale dell'ala ovest. Ad esso si contrappone lo scalone a pianta quadrata dell'ala est, realizzato invece dal Bernini. Si deve a Pietro da Cortona il ciclo di affreschi datati 1633-39, che orna il salone delle feste del piano nobile. In esso è raffigurato Il Trionfo della Divina Provvidenza ed il compiersi dei suoi fini sotto il Pontificato di Papa Urbano VIII Barberini. Pietro da Cortina affrescò anche la cappella, mentre Andrea Sacchi e Francesco Romanelli si occuparono della decorazione delle altre sale.
La facciata, ornata da colonne doriche nel portico ad arcate, ioniche al primo piano e corinzie all'ultimo, è opera del Bernini.
Il palazzo, acquistato dallo Stato italiano nel 1949, ospita una parte della Galleria Nazionale d'Arte Antica. I 1500 dipinti e 2000 oggetti d'arte che la compongono, provengono dalle più importanti collezioni romane. La Galleria contiene, tra le altre, opere di Andrea del Sarto, Caravaggio, Filippino Lippi, Lorenzo Lotto, Perugino, Poussin, Tiepolo, Tiziano,Tintoretto, Giulio Romano. Famosissimi sono i dipinti della Fornarina, di Raffaello, ed il ritratto di Enrico VIII, di Holbein. La più solenne sala di rappresentanza, che degnamente celebra il fasto dei Barberini, è il grande salone affrescato da Pietro da Cortona, capolavoro di pittura barocca.
Il Palazzo, che è sicuramente uno dei capolavori del Barocco romano e non solo, presenta una struttura ad H, con un magnifico atrio a ninfeo, che si pone come diaframma tra il loggiato dell'ingresso e il giardino retrostante. Alla morte del Maderno, nel 1629, la direzione dei lavori passò sotto Gian Lorenzo Bernini, sempre coadiuvato dal Borromini, al quale si deve lo scalone elicoidale dell'ala ovest. Ad esso si contrappone lo scalone a pianta quadrata dell'ala est, realizzato invece dal Bernini. Si deve a Pietro da Cortona il ciclo di affreschi datati 1633-39, che orna il salone delle feste del piano nobile. In esso è raffigurato Il Trionfo della Divina Provvidenza ed il compiersi dei suoi fini sotto il Pontificato di Papa Urbano VIII Barberini. Pietro da Cortina affrescò anche la cappella, mentre Andrea Sacchi e Francesco Romanelli si occuparono della decorazione delle altre sale.
La facciata, ornata da colonne doriche nel portico ad arcate, ioniche al primo piano e corinzie all'ultimo, è opera del Bernini.
Il palazzo, acquistato dallo Stato italiano nel 1949, ospita una parte della Galleria Nazionale d'Arte Antica. I 1500 dipinti e 2000 oggetti d'arte che la compongono, provengono dalle più importanti collezioni romane. La Galleria contiene, tra le altre, opere di Andrea del Sarto, Caravaggio, Filippino Lippi, Lorenzo Lotto, Perugino, Poussin, Tiepolo, Tiziano,Tintoretto, Giulio Romano. Famosissimi sono i dipinti della Fornarina, di Raffaello, ed il ritratto di Enrico VIII, di Holbein. La più solenne sala di rappresentanza, che degnamente celebra il fasto dei Barberini, è il grande salone affrescato da Pietro da Cortona, capolavoro di pittura barocca.
piazza Barberini
Situata a cavallo tra il colle Quirinale e gli Horti Sallustiani, anticamente era il circo di Flora dove si celebravano i Ludi Floreali in onore della primavera, prende il nome dal Palazzo Barberini che vi si affaccia, anche se l'ingresso del palazzo, terminato di costruire nel 1625 su commissione del cardinale Francesco Barberini, è posto in Via delle Quattro Fontane.
Solo a partire da questo periodo la zona assunse carattere di spazio urbano, in quanto i Barberini oltre ad aprire una strada che portava al convento dei cappuccini, commissionarono al Bernini anche le due fontane del Tritone e della Api. Da questa piazza, partendo proprio dalla fontana, quasi ogni giorno partiva un macabro corteo. Infatti, quando veniva ritrovato un cadavere, il più delle volte sfigurato, lo si poneva su di un carro e lo si trasportava in altri luoghi della città, mentre un banditore invitava il popolo a riconoscerla salma. L’incarico fu poi affidato alla Compagnia della Buona Morte fino alla fine del XVIII secolo, quando il macabro uso venne a cessare.
La zona però rimase un’area prevalentemente campestre fino alla seconda metà dell’ottocento, quando l’apertura di via Veneto e di via Barberini ne modificò completamente l’assetto urbanistico.
le fontane di piazza Barberini
Fontana del Tritone
Siamo davanti ad uno dei monumenti più caratteristici di Roma, simbolo della vecchia e storica capitale, come le classiche immagini che vanno dal Colosseo al Cupolone o da fontana di Trevi a questa del Tritone. Inconfondibile capolavoro del Bernini, la fontana riempie l'occhio nel suo disegno fantasioso ed originale, con il tritone che soffiando in una grande conchiglia, invece di un suono ne fa uscire un forte zampillo d'acqua. E' armonioso tutto l'insieme, dalla conchiglia aperta dove sta seduto il tritone, ai quattro delfini che con le code ne sostengono il peso, per poi arrivare alla vasca che, come in tutte le fontane del Bernini, è molto bassa, per consentire la più ampia visione dell'acqua e di tutto l'insieme. Tra le code dei delfini sono visibili le api, stemma di famiglia dei Barberini, e le chiavi, stemma dei pontefici, e quindi di Urbano VIII committente dell'opera, realizzata tra il 1642 e il 1643 nell'ambito dei lavori complessivi di sistemazione di Palazzo Barberini e della zona a cui questo palazzo si affacciava. Le piccole colonne che circondano la fontana sono aggiunte ottocentesche, quando la piazza iniziava ad essere trafficata.
Un tempo la fontana era nota tra i romani anche come la fontana del Tritone sonante a causa dell'acuto sibilo che emetteva l'altissimo zampillo che un tempo usciva dalla conchiglia.
Fontana delle Api
La fontana delle Api, una delle fontane storiche di Roma, si trova all'angolo di Piazza Barberini con Via Veneto. Realizzata nel 1644 da Gian Lorenzo Bernini su richiesta di papa Urbano VIII, Barberini, è una composizione incentrata sul tema dell’insetto simbolo araldico della famiglia Barberini. La fontana si presenta in forma di conchiglia bivalve aperta: la valva inferiore funge da catino in cui si raccoglie l'acqua, mentre la superiore serviva essenzialmente a far abbeverare i cavalli. La fontana era originariamente posta all'angolo di via Sistina con piazza Barberini, ma fu tolta da lì nel 1867 per problemi di viabilità, scomposta e messa in un deposito comunale. Nel 1917, quando si decise di ricostruirla, la maggior parte dei pezzi non fu più trovata e venne ricostruita in travertino.
ricordo della passeggiata
© Sergio Natalizia - 2010