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nella City del Rinascimento

le mie passeggiate
nella City del Rinascimento
con Santina, Bruno e Maria Grazia, Carlo e Maria, Mario e Roberta con Giulia, Massimo e Teresa, Mauro e Marcella,  Pio e Annalucia, Sandro e Paola, Umberto e Rosanna, Angela, Letizia, Vita, Monica, Carlo Alberto
 30 marzo 2008
la storia
In epoca romana, quest’area corrispondeva al Campo Marzio meridionale: qui si trovavano gli arsenali per le navi, i navalia lungo il fiume e, in vicinanza, il tempio di Nettuno, mentre più a nord, nei pressi del ponte neroniano, si estendeva un luogo dedicato ai culti delle divinità degli inferi. In questa zona si organizzavano le corse dei carri nel Trigarium, dal latino triga, ovvero carro a tre cavalli. Oltre ai giochi e gare in questa parte del Campo Marzio si svolgeva il transito del grano che passava attraverso porte secondarie delle mura dove era sottoposto a dazio. Dopo la caduta dell’impero l’area cambiò progressivamente aspetto e funzioni; la zona rimase quasi interamente paludosa fino alla fine del Medioevo quando venne bonificata; in questo periodo tutta la zona lungo il Tevere si popolò di mulini galleggianti, magazzini di frumento e attività legate alla vendita dei prodotti agricoli che, via fiume, arrivavano in città. La strada che attraversava la zona fu chiamata, proprio per la presenza di attività mercantili, “mercatoria”. La mancanza di resti di edifici medievali è da attribuire all’intensa attività edilizia avvenuta iniziata intorno al 1100, per cui le case furono costruite con il materiale di ciò che era preesistente. Nel 1456, Papa Callisto III fece lastricare la zona e successivamente sotto Adriano VI si procedette alla sistemazione di tutte le strade intorno a Campo de’ Fiori. Questo rinnovamento fece sì che molti palazzi importanti fossero costruiti in zona: in particolare palazzo Orsini, che dava proprio su Campo de' Fiori, e per questo motivo la piazza divenne un luogo di passaggio obbligato per personalità di spicco quali ambasciatori e cardinali. Ciò portò un certo benessere nella zona: Campo de' Fiori divenne il luogo di maggior traffico, il centro della città specie quando anche il maggior mercato cittadino si spostò dalle pendici del Campidoglio a piazza Navona. Campo de’ Fiori divenne in particolare sede di un fiorente mercato dei cavalli che si teneva due volte la settimana, e nei dintorni della piazza sorsero molti alberghi, locande e botteghe di artigiani e come spesso capitava nelle zone a maggior traffico e di afflusso di commercianti e di pellegrini, vi abitarono numerose e famose cortigiane. Con il piano di riorganizzazione della città di Sisto IV della Rovere, nel 1478, la via mercatoria assunse notevole importanza perché collegava la zona “finanziaria “ gravitante intorno a piazza di Ponte S. Angelo, con i mercati di Campo de' Fiori e di piazza Navona. Un altro papa, Giulio II della Rovere pensò ad un piano di sistemazione del tessuto urbano con lo scopo di evidenziare l’aspetto di Roma, centro della cristianità ed espressione del potere politico della Chiesa. Così nel 1508 Giulio II, considerando che importanti edifici come la Cancelleria Apostolica, la Zecca e la Cancelleria Vecchia si trovano nella zona, fa progettare dal Bramante la costruzione di un Palazzo dei Tribunali che doveva riunire tutte le corti giudiziarie proprio nella via che diventerà la “strada Julia” dal suo nome e oltre ad essere la prima e la più lunga strada di Roma, circa un chilometro (tanto che fu chiamata anche "via Recta"), doveva diventare il centro di attività finanziarie e commerciali. Anche se il progetto originario non venne mai portato a termine, lungo via Giulia si allinearono i "blasoni" più importanti dell'epoca, dai Sacchetti ai Ricci e ai Chigi, a testimonianza della notevole importanza della via; poi gli interessi del nuovo pontefice, papa Leone X Medici, si focalizzano verso il potenziamento di tutta la zona abitata dalla florida colonia fiorentina e toscana, situata ad una delle estremità di via Giulia, intorno a piazza dell'Oro, dove sorgerà la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Inoltre, sul piano strettamente urbanistico, l'apertura di via Ripetta, iniziata nel 1518, si evidenzia come alternativa allo sviluppo urbano ipotizzato da Giulio II.  Sotto il pontificato di Leone X vengono emessi diversi provvedimenti per incentivare ulteriormente la crescita edilizia, soprattutto nella parte settentrionale dell’area: il Capitolo di San Pietro, proprietario di numerosi terreni in questa zona insieme alle confraternite religiose, inizia ad attuare una precisa politica tesa a sviluppare il tessuto urbano dell'intera area. Intorno alle sedi delle diverse confraternite (San Girolamo della Carità, oratorio del Gonfalone, San Giovanni dei Fiorentini) si costruiscono abitazioni la cui morfologia strutturale si assesta intorno ad alcuni standard ben precisi, e sostanzialmente non molto diversi da quelli caratteristici della nuova edilizia romana del Cinquecento. Tutta la zona nelle immediate vicinanze della zona dei Banchi e di ponte Sant'Angelo, che costituiva nei primi decenni del XVI secolo una sorta di "city" romana, viene sottoposta ad un'importante spinta di sviluppo edilizio che perdura fino alla seconda metà del Cinquecento. L’area si popolò di giardini, appartenenti ai Palazzi delle famiglie patrizie e borghesi sorti in conseguenza dell'apertura di Via Giulia, che digradavano verso il Tevere per raggiungere i moli privati. Un ruolo importante ebbe la vicinanza della Basilica di San Pietro, che comportò la costruzione di ricoveri per pellegrini. La zona tende a divenire anche una sorta di via Margutta “ante litteram”, dato che cominciò ad essere zona di residenza tra le preferite dagli artisti, tra i quali Raffaello , Cellini e più tardi Borromini. Dopo il Sacco del 1527, l'attività edilizia che interessa la zona viene lentamente ripresa, grazie soprattutto ai progetti del Sangallo, che in un certo qual modo fa sua l'idea di qualificare la zona intorno alla chiesa dei Fiorentini come un settore di artisti e di borghesia "emergente". Mentre le residenze dell'aristocrazia tendono a situarsi su via Monserrato, l'area dei fiorentini viene invece a connotarsi come l'area degli "emergenti" e degli artigiani specializzati, in stretto contatto con la zona dei Banchi. Al contrario, la parte più meridionale è caratterizzata da edilizia povera, osterie, case di tolleranza e luoghi di malaffare. Nel frattempo viene a delinearsi, in questo giro di anni, un programma architettonico-urbanistico ben definito, che si contrappone idealmente alla crescita casuale del tratto fiorentino dell’area: quello promosso dalla famiglia Farnese, che trova nella costruzione della grandiosa residenza il proprio punto d'appoggio. È indubbio che fin dalla fondazione del palazzo, voluta dal cardinale Alessandro Farnese tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, ci fosse da parte della famiglia l'intenzione di creare un sistema urbanistico che costituisse, in qualche modo, un'alternativa al piano di Giulio II. Già nelle prime descrizioni dei lavori, datate entro il secondo decennio del Cinquecento, appare chiaro che l'edificio si affaccerà non verso il Tevere, bensì verso la zona commerciale ed il mercato di Campo dei Fiori, con cui sarà collegato mediante una "via recta", perpendicolare a via Giulia. E nel 1549, alla morte di papa Paolo III, il piano si trova ormai ad essere definitivamente strutturato, grazie alla creazione di una vasta piazza antistante la "mole farnesiana", arricchita dalla presenza delle due fontane laterali. Il palazzo dei Farnese si trova quindi al centro di un percorso urbanistico che attraversa la città, ma il progetto, stando alle indicazioni del Vasari, era ancora più esteso: Michelangelo pensava addirittura ad un ponte che oltrepassato il Tevere permettesse di congiungersi con la villa suburbana della Farnesina, su via della Lungara.  La struttura "organizzata" del sistema farnesiano viene quindi a sovrapporsi a quella dell'asse viario incentrato su via Giulia, sviluppandosi, a differenza di quest'ultimo, in maniera organica e perfettamente pianificata. All'ombra della spettacolare residenza, a partire dal 1540, cominciano a sorgere, sia su via Giulia che su via Monserrato, le case di persone e di famiglie legate all'impresa farnesiana: lo scultore Guglielmo Della Porta acquista ed amplia due edifici (i futuri palazzi Cisterna e Baldoca), i Farnese duchi di Latera acquistano un immobile vicino alla chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte (poi palazzo Falconieri), e così via.
Questa zona, raccolse in un breve spazio gli elementi più rappresentativi della società rinascimentale romana, divenendo di fatto una città nella città. Infatti vi sorgevano, affiancati, palazzi di ambasciatori, di nobili, di ricchi borghesi a cui facevano contrasto le abitazioni delle prostitute di lusso, gli ospizi per i pellegrini stranieri e per i poveri, gli istituti assistenziali per ragazzi e zitelle, le carceri, le chiese di varie nazioni. Nel secolo successivo, altri importanti interventi architettonici contribuiscono a definire ulteriormente le caratteristiche urbanistiche e monumentali della sua immagine: il completamento della chiesa dei Fiorentini, la costruzione delle Carceri Nuove, I'ampliamento e la ristrutturazione di palazzo Falconieri ed infine la realizzazione di S. Maria del Suffragio. La fisionomia urbanistica assunta tra la fine del Cinquecento e tutto il Seicento si stabilizza in maniera definitiva nel XVIII secolo: gli interventi realizzati a cavallo tra Seicento e Settecento contribuiscono appunto a tale assetto, aggiungendovi ormai poche novità, per lo più riguardante le strutture religiose.
Anche nella prima metà dell’Ottocento, pur se in scala ridotta, continuano i restauri e i rifacimenti, sostanzialmente però nessuno di questi interventi modifica il carattere funzionale della zona.  Le cose cambiano nella seconda metà dell’ottocento, dopo la proclamazione di Roma capitale: per far fronte ai disagi causati dalle frequenti inondazioni del Tevere, nel 1875 avvenne la costruzione dei muraglioni che stravolse soprattutto quelle che erano le specificità dell’area ed in modo particolare di via Giulia: sparirono le case lungo il fiume, molti palazzi vennero ridimensionati o addirittura eliminati. Nonostante gli sconvolgimenti causati dalla costruzione dei muraglioni sul Tevere, la zona conserva ancora intatto tutto il suo fascino: le strade seguono infatti lo stesso percorso del cinquecento e i palazzi conservano ancora memoria delle decorazioni che ne abbellivano le facciate.

Questa zona, raccolse in un breve spazio gli elementi più rappresentativi della società rinascimentale romana, divenendo di fatto una città nella città. Infatti vi sorgevano, affiancati, palazzi di ambasciatori, di nobili, di ricchi borghesi a cui facevano contrasto le abitazioni delle prostitute di lusso, gli ospizi per i pellegrini stranieri e per i poveri, gli istituti assistenziali per ragazzi e zitelle, le carceri, le chiese di varie nazioni. Nel secolo successivo, altri importanti interventi architettonici contribuiscono a definire ulteriormente le caratteristiche urbanistiche e monumentali della sua immagine: il completamento della chiesa dei Fiorentini, la costruzione delle Carceri Nuove, I'ampliamento e la ristrutturazione di palazzo Falconieri ed infine la realizzazione di S. Maria del Suffragio. La fisionomia urbanistica assunta tra la fine del Cinquecento e tutto il Seicento si stabilizza in maniera definitiva nel XVIII secolo: gli interventi realizzati a cavallo tra Seicento e Settecento contribuiscono appunto a tale assetto, aggiungendovi ormai poche novità, per lo più riguardante le strutture religiose.
Anche nella prima metà dell’Ottocento, pur se in scala ridotta, continuano i restauri e i rifacimenti, sostanzialmente però nessuno di questi interventi modifica il carattere funzionale della zona.  Le cose cambiano nella seconda metà dell’ottocento, dopo la proclamazione di Roma capitale: per far fronte ai disagi causati dalle frequenti inondazioni del Tevere, nel 1875 avvenne la costruzione dei muraglioni che stravolse soprattutto quelle che erano le specificità dell’area ed in modo particolare di via Giulia: sparirono le case lungo il fiume, molti palazzi vennero ridimensionati o addirittura eliminati. Nonostante gli sconvolgimenti causati dalla costruzione dei muraglioni sul Tevere, la zona conserva ancora intatto tutto il suo fascino: le strade seguono infatti lo stesso percorso del cinquecento e i palazzi conservano ancora memoria delle decorazioni che ne abbellivano le facciate.
la passeggiata
Piazza dell’Oro prende il nome dalle proprietà che qui aveva la famiglia dell’Oro. Questo è il luogo dove in epoca romana si trovava il Tarentum, uno degli ingressi al mondo degli inferi. Alla confluenza con via degli Acciaioli si trovano la sede dell’Arciconfraternita dei Fiorentini e la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini dedicata al santo protettore di Firenze, S. Giovanni Battista. Di fronte, sempre a piazza dell’Oro, si affacciano le case quattrocentesche appartenute a famiglie fiorentine, stabilitesi a Roma. Immmettendosi in via Giulia, al civico 79, troviamo il cinquecentesco palazzo Medici Clarelli, opera di Antonio da Sangallo il Giovane: l’edificio presenta una bella fila di finestre al piano nobile , raccordate dalla cornice che unisce i davanzali.
Attribuita alla proprietà di Raffaello è la casa al n° 85, caratterizzata da un ricco cornicione con elementi araldici. Al n° 66 è situato palazzo Sacchetti, fatto costruire da Antonio da Sangallo il giovane, che vi abitò fino all’anno della sua morte nel 1546. Attraverso vari passaggi di proprietà fu venduto infine nel 1648 alla famiglia di origine fiorentina dei Sacchetti. Di rilievo il portone, sottolineato da una cornice di marmo che si apre al di sotto di un balcone, attraverso il quale si entra in un cortile porticato su pilastri. Al n° 93 ancora una casa con pregevoli stucchi e lo stemma di papa Paolo III e ai civici 97-98 il palazzo seicentesco Ricci Donarelli, che ha inglobato alcune case a schiera del quattrocento. All’altezza del civico n° 64 si trova la chiesa di S. Biagio della Pagnotta, sorta sui resti di un tempio di Nettuno e così chiamata perché il 3 febbraio, festa del santo, vengono distribuiti ai fedeli piccoli pani benedetti. Non se ne conosce la data di costruzione, ma la chiesa ebbe sicuramente un rifacimento nel 1072 e una seconda ricostruzione nel settecento; dal 1832 la chiesa e l’annesso convento sono stati affidati agli Armeni.
Tra vicolo del Cefalo e via dei Bresciani, si trova un edificio apparentemente stravagante, in quanto caratterizzato da alcuni filari di grandi pietre e da sedili rivolti verso la strada e noti a Roma come “i sofà di via Giulia”: si tratta dei resti dell’incompiuto palazzo dei Tribunali della Curia, progettato dal Bramante.
Al civico 59 si trova la chiesa di S. Maria del Suffragio, sede dell’omonima compagnia fondata nel 1592; la chiesa iniziata nel 1662 su progetto del Rainaldi si distingue per la sobria facciata e per il piccolo campanile a vela.
Prima di arrivare all’incrocio con vicolo della Scimia, che segna il confine tra i rioni Ponte e Regola, troviamo il carcere minorile voluto da papa Leone XII: questo carcere, progettato dal Valadier, dal 1931 ospita il Museo criminale. Questa parte di via Giulia è dominata dal massiccio edificio delle Carceri Nuove che presenta finestroni muniti di robuste inferriate, appena ingentilite da una cornice in travertino. L’ingresso principale è al civico n° 52 ed attualmente l’edificio ospita strutture del Ministero di Grazia e Giustizia. Di fronte, pochi passi più avanti, si trova la chiesa dedicata a S. Filippo Neri, praticamente la sola cosa che rimane dello sfacelo, intervenuto nel corso dei secoli e mai fermatosi, dell’intero edificio. Nell’ambito del liceo Virgilio, al civico 64, vi è ciò che resta del palazzo Ghislieri, collegio in funzione fino al 1928 e ospitante giovani di famiglie nobili decadute. Subito dopo al civico n° 65 si trova la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, così chiamata per la comunità che abitualmente la frequentava; la sua costruzione risale agli inizi del seicento, ma subì parecchie ristrutturazioni nei secoli successivi. Al civico 146 c’è la parte posteriore di palazzo Ricci, che da questo lato presenta un bellissimo cortile in cui si apprezzano grandi archi al primo piano, un cippo romano ed una fontana con lo stemma dei Ricci.
Di fronte al civico 151 siamo alle spalle degli stabilimenti spagnoli, un ex complesso ospedaliero voluto dalla corona spagnola per i pellegrini che cadevano malati nel corso del loro pellegrinaggio a Roma. Subito dopo, vi è la chiesa della comunità senese a Roma, S. Caterina da Siena, costruita nel 1526 su disegno di Baldassarre Peruzzi e rifatta nel 1760 su progetto di Paolo Posi; è a due ordini con alto portale con lo stemma di Siena e, ai lati del finestrone centrale, Romolo e Remo con la lupa, altro simbolo di Siena, perché questa città, secondo la leggenda, fu fondata da Remo. Di fronte si estende Palazzo Falconieri, realizzato nel Cinquecento per la famiglia Ceci ma poi venduto alla famiglia Odescalchi. Nel 1606 fu acquistato dai Farnese e poi ceduto ad Orazio Falconieri, che ne affidò il restauro a Francesco Borromini nel 1650. Questi ampliò l'edificio sviluppando la facciata da otto a undici finestre e aggiunse un secondo portale, uguale a quello già esistente sulla sinistra, sovrastato da un balcone che ha nella chiave dell'arco una testa di falco, emblema dei Falconieri. Accanto a palazzo Falconieri vi è la chiesa di S. Maria dell’Orazione e Morte. La chiesa fu commissionata da una confraternita fondata per raccogliere i corpi di sconosciuti e provvedere loro con cristiana sepoltura. Costruita nel 1575, fu ristrutturata ed ampliata da Ferdinando Fuga nel 1737. Le porte e le finestre della facciata barocca sono decorate con teschi alati. Nei sotterranei esisteva il cimitero, demolito per la costruzione dei muraglioni del Tevere, composto di stanzoni decorati con le ossa. In esso furono inumate in tre secoli circa 8600 salme. L’arco dei Farnese con i suoi rampicanti e la vicina fontana del Mascherone, costituiscono un angolo idilliaco di via Giulia. L’arco Farnese scavalca via Giulia e secondo il progetto di Michelangelo, avrebbe dovuto congiungere palazzo Farnese e i suoi giardini alla Villa Farnesina, sull'altra sponda del Tevere. La fontana del Mascherone, della quale è ignoto l'autore, fu realizzata per volontà dei Farnese ed è costituita da una vasca rettangolare proveniente da terme romane, al di sopra della quale si innalza un prospetto marmoreo nel mezzo del quale è posto un Mascherone in marmo bianco, anch'esso di età romana, che getta l'acqua dalla bocca che si raccoglie in un sottostante semi-catino a forma di conchiglia: il tutto è sormontato dal giglio araldico farnesiano.
Imboccando via del Polverone si giunge a piazza Capodiferro: questa piazza prende il nome dal palazzo fatto costruire dal cardinale Gerolamo Capodiferro nel 1540 dall'architetto Giulio Merisi da Caravaggio. Dopo la morte del cardinale il palazzo fu acquistato dal cardinale Bernardino Spada (infatti è più conosciuto come palazzo Spada) che lo trasformò in una vera reggia. Il Borromini fu incaricato del restauro e a lui si deve il colonnato tanto famoso dove le pareti convergono, il pavimento sale, il soffitto si inclina, gli intervalli fra i pilastri diminuiscono: il tutto fa apparire la galleria lunga almeno 50 metri quando ne misura solo 8. Nel palazzo è raccolta una notevole collezione di dipinti, sculture ed arredamenti che rappresentano una delle raccolte private più ricche tra le esistenti. Nel 1927 lo Stato italiano ha acquistato l'edificio, oggi sede del Consiglio di Stato.
Immediatamente adiacente a piazza Capodiferro, è Piazza della Quercia con la quale costituisce praticamente un tutt'uno. Qui troviamo la piccola chiesa di S. Maria della che fu concessa nel 1507 da papa Giulio II, alla colonia dei Viterbesi che abitavano in gran numero la zona ed il nome di S. Maria della Quercia, deriva dall’omonimo santuario di Viterbo. Nel 1532 la chiesa fu affidata da Clemente VII alla corporazione dei macellai. L'interno è a croce greca con cupola e tre cappelle: sull'altare maggiore si trova una riproduzione della Madonna della Quercia, con una cornice ornata dai simboli dell'Università dei Macellai.
Attraverso vicolo dei Balestrari si giunge a Campo de’ Fiori. Questa piazza deve il suo nome alle margherite, ai papaveri, ai fiori di prato che un tempo caratterizzavano la piazza, chiusa da un lato da una fila di palazzetti appartenenti alla famiglia Orsini e dall'altro digradante verso il fiume. Quando nel 1478 il mercato del Campidoglio venne spostato a piazza Navona, investendo, così, tutta la zona circostante, Campo de' Fiori compresa, questa divenne un importante centro di affari. Vi sorsero numerosi alberghi, osterie e locande rimasti famose nel tempo. Nel 1869 il mercato si spostò definitivamente da piazza Navona a Campo de' Fiori. Ma la piazza non fu soltanto luogo di affari o di piacere, ma anche luogo di esecuzioni capitali. Al centro della piazza si erge la statua del filosofo Giordano Bruno, messo al rogo per eresia nel 1600 proprio in questo punto: la statua, opera di Ettore Ferrari, venne inaugurata il 9 giugno 1889. Dove oggi si erge la memoria dedicata a Giordano Bruno, vi era in passato, una fontana, decorata da delfini bronzei, costituita da una tazza ovale di marmo bianco e chiusa da un coperchio ricurvo, con al centro una palla, somigliantissima ad una zuppiera, tanto che fu battezzata "la Terrina". Questa, nel 1924, venne spostata in piazza della Chiesa Nuova: quella odierna, situata all'estremità meridionale della piazza, ripete in parte la forma dell'antica ma senza il coperchio.
Da Campo de’ Fiori ci immettiamo in via del Pellegrino, prima via Florea, poi via  degli Orafi perché vi si istallarono orafi e incisori a seguito di un editto che obbligava questi artigiani ad avere casa e bottega nella via; infine prese l’attuale nome da una osteria chiamata "del Pellegrino", in quanto la via, essendo sulla direttrice per S. Pietro venendo da Campo de' Fiori, era percorsa continuamente da pellegrini. Nel XV secolo ebbe anche la denominazione di Merzariorum, forse in riferimento alla "mercatoria": infatti il lato destro, fiancheggiato dal Palazzo della Cancelleria in passato era completamente pieno di botteghe. Si possono ancora notare, lungo questa via, antiche colonne inserite nei muri agli angoli delle vie: servivano a proteggere i muri degli edifici dai continui urti e sfregamenti provocati da carrozze, carri e carretti. Lungo la via si affaccia un arco: si tratta dell'Arco degli Acetari, che funge da cavalcavia tra due palazzi adiacenti e che prende il nome dal termine Acetosari, ossia dai rivenditori di Acqua Acetosa che qui dovevano avere i loro depositi, vista anche la vicinanza con il mercato di Campo de' Fiori. Passando tra botteghe di artigiani e di antiquari, si entra in una stradina stretta e buia, quasi un androne, che ci immette imprevedibilmente in uno scenario di altri tempi: casette con scale esterne tipiche dei borghi medievali, compongono una piazzetta “da presepio” situata allo sbocco dell’Arco degli Acetari. Proseguendo troviamo una stradina chiamata dell’Arco di S. Margherita, che costituisce anch’esso una curiosità per l’ambiente medievale, purtroppo in gran parte perduto. Qui si può ammirare un tabernacolo del settecento, tipico esempi del Rococo romano, considerato tra le edicole sacre più belle di Roma.
Prendendo via del Cappellari, che deve il suo nome ai fabbricanti di cappelli che qui avevano dimora, e poi vicolo del Gallo, ci si immette in piazza Farnese.
Piazza Farnese è una piazza austera che sembra mettere in soggezione, per quanto è dominata da Palazzo Farnese, ed in netto contrasto con la vicina Campo de’ Fiori, piena di colori e di animazione. La piazza prende il nome proprio da palazzo Farnese, costruito per il cardinale Alessandro Farnese dai più grandi artisti dell'epoca, quali Antonio da Sangallo, Michelangelo Buonarroti, il Vignola e Giacomo Della Porta. Il palazzo fu iniziato a costruire nel 1514 su disegni di Antonio da Sangallo il Giovane, ma poi, sia per l'elezione del cardinale a pontefice (Paolo III) nel 1534 sia in seguito alla morte del Sangallo (1546), i lavori furono continuati da Michelangelo, che definì l'assetto dei primi due piani, eresse il terzo ed abbellì la facciata con il balcone centrale ed il cornicione. Nel 1635 i Farnese,  concessero ai Francesi di ospitare nel palazzo la loro sede diplomatica; confiscato dal governo italiano dopo la caduta dello Stato della Chiesa, palazzo Farnese tornò ai Francesi quale sede dell'ambasciata di Francia sin dal 1874. Nella piazza, ai lati del palazzo, sono poste due fontane costituite da due vasche di granito egizio provenienti dalle Terme di Caracalla. Decorate con protomi leonine e con anelli a rilievo e poggianti su altrettante piscine di travertino, presentano al centro due tazze che sostengono i gigli farnesiani dai quali si innalzano zampilli d'acqua. La piazza fu a lungo usata quale spazio adibito all'organizzazione di tornei, corride e feste popolari: fu qui che, per la prima volta nella Roma moderna, si diede seguito al festoso e rinfrescante allagamento estivo, divenuto successivamente una peculiare attrattiva di piazza Navona. Sul lato destro della piazza, nel medesimo luogo dove S. Brigida aveva aperto un ospizio per i suoi connazionali e dove poi morì nel 1373, sorge la chiesa di S. Brigida, eretta nel 1391, allorché la santa svedese venne canonizzata. Di rilievo anche il palazzo Del Gallo di Roccagiovine, iniziato da Baldassarre Peruzzi nel 1520 per conto di Ugo da Spina e completato sette anni dopo; attraverso diversi passaggi di proprietà, alla fine del Cinquecento l'edificio passò alla famiglia Pighini, che lo mantenne per più di due secoli e lo fecero ristrutturare nel 1720 dall'architetto Alessandro Specchi, al quale va il merito del magnifico scalone situato nel cortile.
Da Piazza Farnese ci si immette direttamente su via di Monserrato; questa via conserva praticamente integro il caratteristico stile rinascimentale, dilungandosi con eleganza tra antichi palazzi, botteghe di artigiani e antiquari e vivacizzata dalla presenza di due slarghi rappresentati da piazza S. Caterina della Rota e piazza de’ Ricci. La via fece parte, in passato, della via "recta papalis" percorsa dai cortei pontefici. Per breve tempo la via si chiamò anche "via Arenula" o "Regola" finché assunse il nome di "Corte Savella" o "Curia dei Savelli" perchè i Savelli, nominati Marescialli di Santa Romana Chiesa esercitarono qui la giurisdizione criminale trasformando un palazzo di loro proprietà in tribunale e carcere. Poi la via prese il nome attuale dalla chiesa ivi costruita e dedicata alla Vergine del celebre santuario spagnolo di Monserrat. La via ospitò, a fianco di chiese e nobili palazzi, anche case di cortigiane che ben poco avevano da invidiare ai primi, come quella della celeberrima Imperia, situata all'angolo con via del Pellegrino, una delle abitazioni più sontuose di Roma, dove ogni minimo particolare era opera di un artista. Al civico 61 si trova il cinquecentesco palazzo Fioravanti che presenta un bel portale con un ricco cornicione, ed immediatamente adiacente, la chiesa di S. Girolamo della Carità, sorta, secondo la tradizione, sulla casa dove nel 382 dimorò il santo. La chiesa fu concessa allora da Clemente VII ad una Confraternita di nobili fiorentini all'insegna della carità, titolo poi rimasto alla chiesa. Nel convento accanto alla chiesa visse per oltre 30 anni S. Filippo Neri. Qui si incontra piazza S. Caterina della Rota con la chiesa omonima della fine del cinquecento e restaurata più volte successivamente; la casa natale di S. Caterina è riprodotta invece al civico 112 di via Monserrato nell’insieme di un edificio che appartiene all’arciconfraternita di S. Caterina.
Ai civici 43 e 45 due portali ed un grande cortile caratterizzano l’edificio, con diciotto finestre per piano, del Collegio Inglese; nel palazzo sono inclusi i resti della Corte Savella, carcere in funzione dal 1430 al 1654. In principio fu riservato agli ebrei ma più tardi passò a ricevere anche i rei comuni: tra i carcerati famosi qui rinchiusi si ricorda Beatrice Cenci e la matrigna Lucrezia, le quali da qui, come riportato su un'iscrizione del palazzo del Collegio Inglese, mossero verso il patibolo l'11 settembre 1599. Quando nel 1655 furono istituite le Carceri Nuove, la Corte Savella fu soppressa e l'edificio venne acquistato dal Collegio Inglese ed il complesso fu così collegato all'adiacente chiesa di S. Tommaso di Canterbury. Questa chiesa, già Trinità degli Scozzesi, è stata rifatta nel 1575  e successivamente nel 1864 presenta un grande portale romanico-bizantino. Di seguito la chiesa di S. Maria di Monserrato, costruita nel 1518 ma di origini ben più antiche. Eretta su disegni di Antonio da Sangallo il Vecchio, ha la facciata opera di Francesco da Volterra e sull'architrave un gruppo della Vergine col Bambino che sega il monte (Monserrat significa, infatti, monte segato). L'interno è a navata unica con cappelle laterali, vasta abside e volta a botte; vi sono sepolti i due papi di casa Borgia, Alessandro VI e Callisto III. Tutta via Monserrato è poi un susseguirsi di palazzi risalenti al periodo tra il XV e il XVII secolo. Vanno menzionati la casa cinquecentesca di Lorenzo Mocari nel quale sembra abbia abitato Tina Baroncella, una delle più note cortigiane del tempo, palazzo Rocci Pallavicini, costruito su progetto di Carlo Maderno nei primi del Seicento, palazzo de’ Ricci con la facciata decorata da Polidoro da Caravaggio nel 1525, palazzo D’Aste-Sterbini e palazzo Podocatari, risalenti alla fine del Quattrocento e palazzo Incoronati del primo Cinquecento. Da osservare anche il bel tabernacolo barocco del XVIII secolo con una effigie di Madonna con il Bambino che  si trova sul prospetto della casa al civico 125.
Da vicolo della Moretta passando per via S. Filippo Neri, ci si immette in Lungotevere Sangallo, dove questa passeggiata ha termine.
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