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al parco della Caffarella

le mie passeggiate
al parco della Caffarella
con Santina, Aldo e Carla, Pio e Annalucia, Maria Antonietta, Floriana, Roberta, Luisa, Filippo, Massimo, Maurizio.
02 giugno 2010
La Caffarella è la porzione del Parco dell'Appia Antica delimitata dalla Mura Aureliane e dalle due maggiori vie dell'antichità: via Appia e via Latina. Nella valle della Caffarella si specchia la storia di Roma, della città e della cultura, delle genti che l’hanno popolata e del territorio nel quale si sono insediate: la valle fu teatro di miti e leggende forse suggeriti dai morbidi rilievi che ne fanno un confine naturale e dalla presenza dell’Almone, piccolo affluente del Tevere, dai romani ritenuto fiume sacro sin dai primordi. Qui si conservò uno dei boschi sacri alla romanità di cui ancora oggi permangono le tracce. In questo luogo, ricavato da una grotta, sorse il ninfeo di Egeria che la leggenda romana voleva teatro degli incontri tra Numa Pompilio e la ninfa omonima, consigliera e consorte del re. Passati i secoli la valle divenne proprietà di alcune delle più illustri famiglie romane che la arricchirono di ville, templi e sepolcri. Il carattere agreste della valle non cambiò con la caduta dell’impero; sorsero le prime torri di avvistamento a difesa dei fondi agricoli, quindi i casali e i mulini. Riunificata nel ‘500 dai Caffarelli (da cui il nome) la valle passò poi nelle mani dei Pallavicini prima e dei Torlonia poi. Un pezzo di campagna romana dentro la città, ricco di monumenti della Roma imperiale e medievale che convivono in una natura dove, ancora oggi, viene svolta l'attività agricola e la pastorizia, mantenendo inalterati i caratteri di quella campagna romana che tanti artisti fece innamorare.
la valle e il parco della Caffarella
Esteso poco più di 190 ettari il Parco della Caffarella deve la sua importanza storico-culturale alla sua ubicazione a ridosso delle Mura Aureliane e tra due principali vie della antichità: la via Appia Antica e la via Latina. Il suo nome alla famiglia Caffarelli che ne divenne proprietaria alla metà del ‘500, creando un’estesa tenuta agricola dopo aver riunificato e bonificato vari appezzamenti. Interamente attraversata dal fiume Almone, ritenuto sacro in quanto legato alle origini mitiche di Roma (Almone è il primo eroe italico che nell’Eneide cade nella guerra tra Italici e Troiani di Enea), nella valle sono abbondanti le sorgenti d’acqua utilizzate fin dall’antichità con un’estesa rete di canali, per alimentare impianti termali e fontane monumentali. Dall’età repubblicana e per tutta l’età imperiale, la valle fu densamente occupata da grandi ville, tempietti, sepolcri e colombari, di cui si conservano ancora oggi notevoli testimonianze. Le notizie più antiche risalgono al III secolo a.C. quando parte della Caffarella era posseduta dalla famiglia di Attilio Regolo. Nel II secolo d.C. fu proprietà della famiglia di Annia Regilla, che lo portò in dote al facoltoso e potente marito Erode Attico. Alla morte di questo, dal III secolo d.C., la tenuta entrò nel Demanio imperiale. Fu allora che Massenzio vi edificò il suo palazzo, il circo e la tomba del figlio Romolo. Con la caduta dell’impero tutta l’area fu progressivamente abbandonata e incorporata nel patrimonio ecclesiastico. Nel Medioevo la zona divenne strategicamente importante e furono costruite numerose torri fortificate. In questo periodo la valle appariva coperta di marmi di antichi edifici e veniva usata come cava. Fu nel XVI secolo che la valle assunse il nome definitivo: i Caffarelli, nuovi proprietari, ricondussero il complesso ad una funzionale azienda agricola, al centro della quale edificarono il casale della Vaccareccia. Il fondo passò poi nel 1695 ai Pallavicini, e da questi nel 1816 ai Torlonia che completarono l’impianto idrico. Nel secolo scorso la Caffarella era sfruttata anche come cava di pozzolana, utilizzata negli edifici della Roma umbertina. A partire dal secondo dopoguerra l’inarrestabile crescita della città rischiò di mettere fine a questa millenaria storia, trasformando la valle in una colata di cemento. Grazie alla battaglia di comitati di cittadini, urbanisti, intellettuali e ambientalisti, la valle ha subito poche ferite, essendo stata inserita nel più ampio sistema del Parco Regionale dell’Appia Antica, e risanata nella parte acquisita dal Comune di Roma (132 ettari) alla fine degli anni ’90, è ora godibile da tutti. Oggi, una passeggiata nella Caffarella, è un avventura emozionante in un contesto unico, tra segni della storia romana, pecore al pascolo e una natura rigogliosa, il tutto a due passi dal centro storico di Roma.
il sepolcro di Annia Regilla-Tempio del Dio Redicolo
A metà di via della Caffarella, sul lato sinistro, si conserva un suggestivo sepolcro costruito in opera laterizia di due colori, giallo per le parti strutturali e rosso per i particolari decorativi, che per la sua forma a tempietto è stato erroneamente interpretato dagli studiosi ottocenteschi come “Tempio del Dio Redicolo”, il dio del ritorno che i Romani salutavano all’inizio e alla fine di ogni viaggio. Non è certo neppure che si tratti del cenotafio di Annia Regilla, moglie del filosofo e uomo politico greco Erode Attico, morta nel 161 d.C. e sepolta in Grecia. Il monumento, databile alla metà del II secolo d.C., è ben conservato ed è di grande interesse sia per la tipologia architettonica, che segna un'evoluzione nella tipologia sepolcrale romana, sia per la qualità artistica della decorazione in cotto. L’edificio è un sepolcro “a tempietto” su due piani, nel laterizio policromo in voga nella metà del II secolo d.C.: al piano inferiore era situata la cella funeraria, mentre in quello superiore si svolgevano le cerimonie funebri in onore dei defunti. La decorazione più ricca è visibile sul lato meridionale: la parete è scandita da due semicolonne a fusto ottagonale con capitelli corinzi, profondamente incassate nella muratura, e da due lesene angolari che inquadrano una finestra con architrave aggettante; la parete è poi delimitata orizzontalmente da una fascia a meandro. I lati nord e ovest riprendono, in maniera più semplice, lo schema decorativo delle facciate principali, con quattro lesene in laterizio rosso che ripartiscono la parete, in cui si aprono tre finestre rettangolari con architrave. Davanti alla facciata sul lato est era in origine collocato un portico a quattro colonne, che delimitava la gradinata di accesso al piano superiore, oggi non più conservato. Un disegno di Carlo Labruzzi della fine del XVIII secolo documenta che l’edificio era usato come fienile e accanto ad esso erano stati aggiunti un casale ed una torre. In prossimità del sepolcro è infatti tuttora localizzato un antico casale che ingloba i resti di un mulino, precedentemente usato come valca (torre che faceva parte di un sistema di mulini ad acqua  utilizzati per la lavorazione e il lavaggio di panni), e di una torre che faceva parte del sistema difensivo della valle della Caffarella.
Ninfeo di Egeria
Ricavato artificialmente nel fianco della collina è il monumento noto anche come “Grotta di Egeria”: un suggestivo ninfeo rettangolare, con ampia nicchia sul fondo e tre nicchie minori sui lati, in cui erano collocate statue di divinità fluviali, da cui scaturiva acqua minerale, proveniente da una sorgente posta al di sotto di via Appia Pignatelli; oggi si conserva nella nicchia di fondo una statua maschile semisdraiata da cui sgorga acqua, raffigurante forse il dio Almone. La grotta presenta inoltre un avancorpo con due vani laterali, anch’essi ornati da nicchie. Le pareti dell’ambiente erano originariamente rivestite di lastre di marmo bianco e verde e di mosaico di pasta vitrea di vari colori, mentre la volta a botte di copertura, rivestita di pietra pomice, simulava l’interno di una grotta naturale. Il ninfeo si affacciava originariamente sul fiume con un quadriportico, oggi non più conservato, che delimitava una piscina rettangolare di raccolta, che a sua volta si immetteva in un più vasto bacino lacustre, da identificare forse nel “Lacus Salutaris” noto dalle fonti antiche, in cui confluivano le acque del fiume Almone. Il ninfeo, costruito in “opera mista” di reticolato e laterizio, è databile alla metà del II secolo d.C. e faceva probabilmente parte della villa di Erode Attico; recentissimi scavi hanno individuato però anche una fase di ristrutturazione del monumento, da riferire all’età di Massenzio (inizi del IV secolo d.C.).
il tempio di Cerere e Faustina - S. Urbano
Si tratta di un tempio antico, costruito in posizione dominante la valle della Caffarella, trasformato nel IX secolo in chiesa dedicata a S. Urbano, vescovo martirizzato al tempo di Marco Aurelio. L’aspetto attuale dell’edificio si deve ad un radicale intervento di restauro eseguito nel 1634, sotto papa Urbano VIII, che, per motivi di staticità, fece aggiungere un muro in mattoni tra le colonne del porticato anteriore. La forma originaria dell’edificio è quella di un tempietto su alto podio, quest’ultimo non visibile perché interrato, interamente costruito in laterizio, ad eccezione delle quattro colonne sulla fronte e dell’ architrave, realizzati invece in marmo pentelico, le cui cave, localizzate dei pressi di Atene, erano di proprietà di Erode Attico. Il tempio va probabilmente identificato con quello dedicato da Erode Attico a Cerere, divinità legata alla vegetazione e alle messi, e a Faustina, la defunta cugina della moglie di Erode e moglie, divinizzata, dell’imperatore Antonino Pio: una delle “iscrizioni triopee”, rinvenuta davanti a S. Sebastiano, cita tale tempio, all’interno del quale era conservata la statua di Annia Regilla. La cella, a pianta quadrangolare, ha le pareti interne divise in tre fasce orizzontali, la centrale delle quali è scandita da riquadri delimitati da piccole lesene in laterizio con capitelli corinzi di peperino; la copertura è costituita da una volta a botte decorata di stucco: un fregio con trofei di armi alla base e una serie di partizioni di forma ottagonale nella parte superiore; nell’ottagono conservato al centro si individuano una figura maschile e una femminile, nell’atto di avanzare in processione, con offerte votive alla divinità: è probabile che si tratti di Erode Attico e della moglie Annia Regilla, a conferma dell’identificazione del tempio. Nel VI secolo d.C. il tempio fu trasformato in chiesa e gli fu dato il nome di Urbano dal vescovo il cui corpo è sepolto al IV miglio della Via Appia Antica. All’interno del vano, nell’XI secolo, furono dipinti i 34 affreschi che riempiono le fasce delle pareti della cella e che raffigurano scene della vita di S. Cecilia e di S. Urbano ed altri episodi del Vangelo. Del X secolo, o anche anteriore, è invece una Madonna col Bambino fra S. Giovanni e S. Urbano, presente nella cripta al di sotto dell’altare. Per vedere questa chiesa occorre certo essere provvisti di tanta buona volontà, date le difficoltà di accesso: nel corso della nostra passeggiata non è stato possibile visitarla e le foto qui presentate sono state tratte dall'Archivio Cederna.
S. Urbano (foto tratte dall'archivio Cederna)
il bosco sacro
Di fronte alla chiesa di S. Urbano su un poggetto si conservano tre lecci: è ciò che resta di un famoso bosco di lecci secolari, identificato erroneamente fin dal Rinascimento con il “Bosco sacro di Egeria”, in cui, secondo l’antica tradizione romana, il re Numa Pompilio avrebbe incontrato la ninfa Egeria, da cui traeva ispirazione per la composizione delle leggi sacre di Roma; tale bosco sacro va, invece, probabilmente identificato con il lago e il bosco delle Camene, localizzato all’interno delle mura Aureliane, nella zona dell’attuale passeggiata Archeologica.
Torre Valca
Proseguendo oltre il Ninfeo di Egeria, in direzione di via dell’Almone, si incontra una torre costruita in età medievale per il controllo di un ponte sul fiume Almone (attualmente si conserva un ponticello di legno); la tecnica edilizia in blocchetti parallelepipedi di tufo e peperino consente di datarla al XII-XIII secolo, ma la struttura è stata interessata da numerose ristrutturazioni. La torre, che era difesa da un antemurale (primo muro di difesa) e fornita di ponte levatoio che conduceva direttamente al primo piano, in una fase successiva alla costruzione originaria fu probabilmente sede di una valca, ossia un mulino ad acqua che veniva usato per la lavorazione della lana.
la cisterna
Questa cisterna risale ai primi anni dell'impero ed era in origine interrata e raccoglieva l’acqua piovana poi utilizzata per l’irrigazione delle colture agricole. Probabilmente, durante la costruzione del Circo di Massenzio, rimase scoperta a seguito del prelievo di materiali effettuato per la costruzione della pista.
il colombario
Il c.d. colombario erroneamente detto di Costantino è in realtà un sepolcro a tempietto del II secolo d.C., nel fondovalle della Caffarella: si tratta di un sepolcro collettivo in cui venivano deposte all’interno delle nicchie, sulle pareti, le urne con le ceneri dei defunti. Il monumento ha la forma di un tempio in antis, cioè con due colonne davanti all’entrata principale: anche se oggi le colonne sono scomparse, rimangono i due muri laterali sporgenti.  E' a pianta rettangolare, su due piani, con portico anteriore, costruito in mattoni gialli per le parti strutturali e rossi per i particolari decorativi. L’edificio è diviso in due piani: in quello inferiore era localizzata la camera funeraria, a cui si accedeva da una porta sul lato lungo a nord-est, in cui venivano deposti i sarcofagi, mentre al piano superiore, come di consueto, si svolgevano le cerimonie funebri e le feste in onore dei defunti. Durante il Medioevo l’edificio fu trasformato in mulino: un canale d’acqua regolato da una chiusa entrava nella costruzione facendo girare una macina orizzontale.
il casale della Vaccareccia
Al centro della tenuta realizzata dalla famiglia Caffarelli, che bonificò la valle dell’Almone unificando tutta l’area in un’unica azienda agricola, è situato il Casale della Vaccareccia. Edificato nel corso del XVI secolo, compare già nella Carta del Lazio di Eufrosino della Volpaia del 1547; ingloba una preesistente torre del XIII secolo, in blocchetti di tufo e scaglie di marmo, che emerge con la sua parte superiore dalla copertura del casale, con tetto a falda unica: era in origine molto più alta, per controllare tutta la tenuta fino alla via Latina. La Vaccareccia, nella parte superiore, presenta una grande ala con un bel portico su colonne antiche; di lì si può entrare nella casa dei contadini, col tetto a spiovente, la loggia del '500 e il fienile, in unico corpo rinforzato da robusti muri di sostegno. Nel 1695 i Caffarelli vendettero il fondo ai Pallavicini, i quali, nel 1816, cedettero la proprietà ai Torlonia, che ristrutturarono la Vaccareccia,  aggiungendo la grande stalla lungo uno dei lati dell'aia, e bonificarono il fondovalle per l'ultima volta. Ancora oggi è abitata da contadini che producono formaggi e ricotte ricavati da pecore lasciate al pascolo nella valle.
Altri sono ancora i monumenti presenti nella valle della Caffarella, ma difficilmente visibili perché nascosti dietro le recinzioni e la vegetazione delle proprietà private. Il fatto che meno del 50% della valle sia di proprietà pubblica, limita in modo decisivo la possibilità di definire un percorso lineare e con le necessarie indicazioni segnaletiche di cui si sente veramente la mancanza. Forse però con il tempo si riuscirà a colmare questa lacuna che nulla toglie alla bellezza del posto.
particolari di una giornata di fine primavera
particolari di una giornata di fine primavera
vista verso il mausoleo di Cecilia Metella
vista verso i Castelli Romani
© Sergio Natalizia - 2010
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